Momenti storici

l battagliero Papa Leone IX e il totale capovolgimento della politica papale verso i Normanni

Il battagliero Papa Leone IX, al fine di scacciare definitivamente i Normanni che giudicava dei prepotenti, barbari e crudeli, si pose al comando di gruppetto di soldati nonostante suo cugino, l’imperatore d’occidente Arrigo III, avesse ritirato la parte più cospicua delle truppe imperiali dalla coalizione anti-normanna.

Nella pianura di Civitate, attraversata dal fiume Fortore, in Puglia, si scontrò però contro il ben più esiguo esercito normanno, formato a sua volta da tre raggruppamenti, alla testa dei quali v’erano il conte Unfredo, suo fratello Roberto (detto il Guiscardo) e Riccardo, conte di Aversa.
Grazie alla rapida e travolgente azione di costui (portatosi per primo valorosamente all’attacco) si costrinse il nemico alla fuga ed si aprì la strada alla grande vittoria dei Normanni.

Il Papa rifugiatosi nella cittadella di Civitate, debolmente munita, fu costretto, per l’accerchiamento posto dai Normanni, ad arrendersi.
Fatto prigioniero, venne tuttavia trattato con ogni onore dagli stessi che arrivarono a prostrarsi in ginocchio davanti a lui chiedendo perdono.
Tale ossequioso comportamento, riferiscono le cronache del tempo, determinò il totale capovolgimento della politica papale verso i Normanni.

Il primo passo fu quello di togliere loro la scomunica e concedere, in quello stesso anno, la sede episcopale alla Contea di Aversa, dichiarandola esente e mettendola sotto la diretta protezione della Santa Sede.

La rappacificazione tra il Papato ed i Normanni, con la quale i secondi diverranno i più fedeli alleati della Chiesa nella lotta per la riforma “gregoriana”, fu sancita dal Concilio di Melfi dell’agosto 1059, mediante un patto ufficiale sottoscritto per la parte normanna dal conte Riccardo I di Aversa e Roberto il Guiscardo.


La rivolta contro Carlo I d’Angiò e la fondazione del complesso conventuale di San Francesco delle Monache

Dopo la vittoria di Benevento contro lo svevo Manfredi, Carlo I d’Angiò marciava trionfalmente verso Napoli, appena eletta nuova capitale del regno, quando in prossimità di Aversa fu avvicinato da una delegazione di 18 cavalieri napoletani guidati dal nobile Francesco Loffredo, che gli consegnò le chiavi della capitale.
Ma, per una strana ironia della sorte, proprio nella città di Aversa, dove aveva ricevuto le chiavi ed il benvenuto dei sudditi, scoppiò dopo poco tempo una violenta agitazione antiangioina capeggiata da un gruppo di nobili che, unitamente a consimili bande di cospiratori napoletani e capuani, tentava di favorire l’ascesa al trono di Corradino di Svevia.
Sedata la rivolta, la vendetta del novello re non si fece attendere.

I rivoltosi aversani vennero condannati al carcere e privati di tutti i loro beni, mentre il nobile feudatario Riccardo Rebursa, considerato il capo dei rivoltosi di Aversa, fu condannato a morte e, quindi, decapitato come il giovane Corradino.

Alla madre e alla moglie del Rebursa, Altrude e Margherita, fu concesso tuttavia di continuare a dimorare nell’edificio di Borgo Sant’Andrea, posto fuori le mura della città, che le due nobildonne, per la loro particolare devozione a San Francesco e Santa Chiara, si diedero a trasformare ben presto in un complesso conventuale, dapprima con la costruzione di una chiesa dedicata ai due Santi, quindi di un monastero per clarisse.


Il delitto di Andrea d’Ungheria nel luogo adiacente la chiesa attualmente detta di Casaluce

Con l’ascesa al trono della regina Giovanna I (1343-1382), figlia di Roberto d’Angiò, la crisi del regno di Napoli si manifestò in tutta la sua drammatica evidenza e anche Aversa ebbe a subire le disastrose conseguenze della nefasta condotta di costei e della sua scellerata corte.

Infatti, fu proprio nel castello angioino di Aversa che maturò nel 1345 il delitto del principe consorte Andrea d’Ungheria, a cui Giovanna era andata in sposa appena diciassettenne.

La coppia regale, col suo seguito di dame e cavalieri, arrivata sul tardi nella residenza aversana (che sorgeva nel luogo adiacente la chiesa attualmente detta di Casaluce), dopo un lauto banchetto si ritirò nei rispettivi appartamenti.
A notte inoltrata, Andrea fu svegliato col pretesto di urgenti comunicazioni.
Pensò forse che fosse finalmente arrivata la tanto attesa bolla papale che autorizzava la sua incoronazione, ponendo così fine al mal sopportato ruolo di principe consorte senza poteri decisionali, come il testamento di re Roberto aveva sancito.
Ma purtroppo per lui si trattava solo di una tragica imboscata ordita, forse all’insaputa della stessa regina, da personaggi di corte per nulla disposti a tollerare ingerenze esterne nel governo del regno.
Appena entrato, infatti, nella sala adiacente, fu assalito dai congiurati in agguato, ucciso ed impiccato ai merli del loggiato, quindi gettato nel giardino sottostante.
Solo dopo tre giorni, un canonico della cattedrale, mosso a pietà, si prese cura delle sue spoglie.

Nel 1348, il re d’Ungheria, Luigi, fratello di Andrea, che aveva più volte annunciato propositi di vendetta, si portò in Aversa con un poderoso esercito.
Preso possesso della città, convocò i baroni e tutti coloro che stavano vicino alla corte con il pretesto di un grande banchetto di riconciliazione.
La regina, però, intuendo le reali intenzioni dell’astuto cognato, insie­me al suo nuovo marito, preferì rifugiarsi in Provenza.
Concluso il banchetto, infatti, il re ungherese scatenò la sua devastante ira, compiendo orrenda strage di quanti riteneva responsabili dell’uccisione del fratello, mentre le truppe al suo seguito funestavano la città con rovinosi saccheggi e razzie.


Garibaldi ad Aversa

Alla vigilia della più bella e decisiva battaglia del nostro Risorgimento, quella del I ottobre 1860, che verrà detta del Volturno, il grande generale Giuseppe Garibaldi, in cerca di finanziamenti che potessero servire a meglio equipaggiare il proprio esercito, si recò a S.Maria C.V. e ad Aversa.
In questa città si rivolse per un prestito alla famiglia dei baroni Ricciardi Serafini de Conciliis, proprietari di un bellissimo edificio (l’attuale Palazzo Golia) in via Seggio, promettendo la restituzione della somma da parte dello Stato Sabaudo ad un tasso centuplicato.
Il prestito gli fu accordato, ma non dalla nobile famiglia, che risultò inopinatamente al verde, ma da un commerciante suo inquilino, Giuseppe Motti, cui i nobili si erano rivolti.
In particolar modo, fu la intraprendente moglie di costui ad impegnare la dote paterna per la causa patriottica.
Garibaldi, dopo aver pernottato nella dimora dei de Conciliis, se ne ripartì, preparandosi ad affrontare quella che rimane l’impresa più bella della storica epopea del 1860.
L’esito della battaglia non era affatto scontato.
L’esercito garibaldino, al contrario di quello borbonico più numeroso e bene armato, mancava di munizioni e vettovagliamenti.

Il I ottobre, con la eroica vittoria del Volturno da parte dei garibaldini sui borbonici, la guerra per la conquista delle Due Sicilie era virtualmente conclusa. Al sopraggiunto esercito piemontese restava solo da terminare l’impresa, cosa che avvenne con la presa di Capua e Gaeta.
Lo Stato Sabaudo, tenendo fede alla parola data da Garibaldi, provvide a restituire i debiti contratti da costui al tasso promesso.
Per la famiglia Motti ciò significò un’insperata fortuna, che permise loro di acquistare il palazzo della servitù ed il proprio negozio dai nobili de Conciliis.

1892 arriva l’acquedotto

La nostra Aversa, nonostante la felice positura naturale e la sua importanza nella zona, mancava sul finire dell’Ottocento di buona acqua potabile e di un’adeguata rete fognante.
Sita nella parte occidentale della Campania felix, nel secondo bacino dei Regi Lagni, la città che già aveva tratto vantaggio dalle bonifiche degli agri contermini sentiva il bisogno di un opportuno risanamento urbano.
Ciò perché un secolo fa era un centro di circa 25mila abitanti con una certa giurisdizione su alcuni paesi vicini e con note istituzioni, l’Annunziata, il Seminario, S. Lorenzo, il Manicomio, la Caserma di Cavalleria e così via.

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