Turismo & Cultura

Patrimonio artistico monumentale

Aversa, oltre a presentare un interessante impianto urbanistico, con schema ad ‘avvolgimento’, che univa tra loro i borghi preesistenti o di nuova formazione con la caratteristica ‘espansione biologica’, in quattro cerchie murarie inserite in una parcella della centuriazione dell’ager campanus, annovera un patrimonio artistico di grande rilievo monumentale.

Al periodo prenormanno sono ascrivibili, l’antica Cappella di San Paolo poi incorporata, nella prima metà dell’XI sec., nella nuova chiesa di Rainulfo, il Castello del Borgo e l’abbazzia di San Lorenzo (IX sec.).
Del borgo Savignano la Cappella di San Giovanni Battista.

L’edilizia religiosa del periodo successivo, romanico-normanno, è tra le più interessanti per l’innumerevole quantità di edifici costruiti; esso annovera la Chiesa Cattedrale di San Paolo e quelle di S. Maria a Piazza di S. Audeno, di San Nicola, di San Giovanni Evangelista, di Sant’Andrea, di Sant’Antonino e di Santa Marta, inoltre la presenza dell’importante Convento femminile di San Biagio(prima metà XI sec.) e la Chiesa e Monastero di S. Francesco.
Di tutti questi per gli incendi, i terremoti e le trasformazioni che li adattarono alla nuova versione, rimane ben poco.
Quelli civili: i Seggi nobiliari di Sant’Antonio, di Sant’Andrea e di S. Luigi, (l’unico rimasto); il Castello Normanno, forse quello della seconda cerchia muraria ove sorgerà il Conservatorio di San Gennaro e il Castello di Ruggiero ll costruito con la terza cerchia dopo l’incendio della città.
A questi va aggiunta la Torre o Castello di Savignano, antichissimo borgo a sud-est della città.
Per la costruzione di tali edifici fu impiegato materiale tufaceo prelevato dal sottosuolo e materiale di spoglio anche delle antiche città di Atella, Literno e Cuma; di questo materiale alcuni reperti sono ancora visibili negli incroci delle strade del centro storico.

Ai periodi angioino e durazzesco si ascrivono la chiesa di San Ludovico, la Chiesa e Monastero dei Celestini, la Chiesa e Monastero della grande Annunziata e la Chiesa e l’Ospedale di Sant’Eligio. Dell’architettura civile sono il Castello Angioino e la sistemazione delle porte che aumentano di due: Porta San Nicola, San Giovanni, San Biagio al posto di Porta Santa Maria, Intoreglia, di Capua, del Castello, di Sant’Andrea, del Mercato e Porta Nuova. Di queste attualmente rimane solamente Porta San Giovanni.

Dal XV al XVIII sec. furono erette la Chiesa e il Monastero delle Cappuccinelle, la Chiesetta di Santa Maria del Popolo, ristrutturata quella di Casaluce, la Chiesa vanvitelliana di Sant’Agostino dei Calzi, della Concezione presso Porta San Nicola e l’ampliamento del Castello di Ruggiero. Furono inoltre restaurate la Chiesa raguzziniana di San Domenico e quella del Carmine.

Nel periodo borbonico molte strutture conventuali cambiarono destinazione: il Convento della Maddalena, antico Hospitium Lebrosorum, divenne Manicomio (1813); il Convento dei Celestini fu trasformato in Orfanotrofio, quello di San Lorenzo accolse, nel 1807, un Collegio di Fanciulle e successivamente la Scuola Tecnica con Orfanatrofio.
Attualmente parte del convento di San Lorenzo è sede della Facoltà di Architettura della II Università di Napoli.
Il Convento di San Domenico ospitò le Scuole Elementari, la Biblioteca e l’Archivio Comunale dopo essere stato, dal 1869, destinato a Casa Municipale.
Il Convento dell’annunziata dopo aver accolto l’Ospedale Civile, di recente è stato destinato a sede della Facoltà d’Ingegneria della II Università di Napoli.

Dell’edilizia civile bisogna inoltre ricordare i molti palazzi nobiliari del centro storico nonché il magnifico Palazzo del Seminario fatto costruire dal card. Innico Caracciolo dall’architetto romano Carlo Beratti, il quale ripropose modi berniniani del Palazzo Barberini.
Il Seminario inoltre ospita alcuni Istituti scolastici, l’Archivio Capitolare, la Biblioteca e la Pinacoteca diocesana.

Chiese e monumenti

Monastero San Francesco

Gli elementi romanici del complesso monastico di San Francesco delle Monache, fondato tra il 1230 ed il 1235, sopravvivono in parte del primitivo chiostro e nel campanile addossato alla bella cupola maiolicata. La chiesa, tra le più belle della città, ristrutturata a partire dal 1645 in fastoso stile barocco, presenta una ricca e multiforme decorazione interna, una pianta a croce latina, ed una navata unica sulla quale si aprono tre cappelle per lato decorate, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, in marmi policromi di rara bellezza. Di notevole interesse artistico anche il patrimonio pittorico della chiesa, con opere dalla firma prestigiosa:

nell’abside, San Francesco in Gloria (1642), di Jusepe de Ribera (detto lo Spagnoletto); nel transetto, Santa Chiara mette in fuga i Saraceni e La Pentecoste di Francesco de Mura; sull’altare della II cappella a sinistra, l’ Adorazione dei pastori (1650 circa) di Pietro da Cortona, nella I sempre a sinistra un Cristo deposto di Paolo De Majo (della metà del XVIII secolo). Per quanto riguarda il convento, segnaliamo i suggestivi affreschi di epoca medioevale, variamente datati, che decorano l’ala romanica del chiostro; ed il pregevole dipinto della “Madonna Lactans” (per il quale si è ipotizzata una possibile attribuzione al grande pittore duecentesco Guido da Siena), posto nel coro inferiore.

Palazzo Golia

Il tipo edilizio del Palazzo Golia, che già fu dei baroni Ricciardi Serafino de Conciliis, alla via Seggio n° 72, è quello della tradizionale casa a corte, che in questo caso tuttavia emerge per l’equilibrio e l’eleganza delle proporzioni.
L’ampio cortile interno, sullo sfondo del quale campeggia una leggiadra statua raffigurante la Campania Felix, è sormontato dal bel giardino pensile che, con le sue piante secolari, prospetta frontalmente l’alto portale di accesso.
Al piano terra di questa bella dimora gentilizia erano un tempo ubicati i locali destinati alle attività agricole, alle scuderie ed alle altre attività di servizio.
Di notevole pregio architettonico lo scalone principale in pietra vesuviana che conduce al primo piano dell’abitazione che ospitò il generale Giuseppe Garibaldi alla vigilia dello storico scontro sul Volturno, il I Ottobre del 1860.

Chiesa e Convento di Sant’Antonio

La chiesa di Sant’Antonio, edificata nei primi anni del tredicesimo secolo ed offerta all’ordine dei Minori Conventuali fu dedicata, a partire dal 1232, a Sant’Antonio da Padova, e divenne col tempo parte di un importante complesso monastico.
Le originarie forme gotiche furono in seguito completamente cancellate da successivi interventi. A partire dagli ultimi anni del ‘500, la chiesa venne ridotta alle attuali dimensioni ed assunse il definitivo aspetto prevalentemente rinascimentale e barocco.
Lo stile originario, riportato parzialmente alla luce durante il restauro del 1980, è oggi visibile nella facciata, nella zona presbiteriale (arco trionfale, nervature dell’antica volta) e nella bella trifora della parete absidale. Interessanti affreschi e tele decorano l’interno ad unica navata e completamente imbiancato, al di sopra del quale spicca una leggiadra soffittatura lignea a lacunari. Nell’attiguo convento, merita una visita il chiostro ed il bel campanile in tufo che si eleva in un angolo dello stesso.

Duomo

Nel cuore del borgo antico, sulla piccola, omonima piazzetta, si apre il maestoso Duomo di San Paolo, autentico ombelico di Aversa, la cui costruzione si deve al principe normanno Riccardo I, che ordinò l’inizio dei lavori nell’anno 1050, ed al figlio di costui, Giordano I, che li portò a termine nel 1090 circa.
Alla fine dell’XI secolo venne creato il bellissimo deambulatorio (del quale vi sono pochissimi altri esempi in Italia).
Posto in prosecuzione delle navate, il deambulatorio che gira intorno all’abside con tre cappelle a semicerchio divise in sette campate con volta a crociera, presenta evidenti analogie con opere della Francia centrale e meridionale.

I terremoti del 1349 e del 1457fecero crollare rispettivamente la cupola ed il campanile originari.
La prima fu sostituita dall’attuale cupola arabo-normanna, con due ordini sovrapposti di arcatelle cieche assai simili a quelle del duomo di Caserta Vecchia; il secondo, che l’affiancava lateralmente, fu ricostruito all’esterno e successivamente collegato alla facciata da un ponte realizzato nel 1733.
Determinante per l’attuale aspetto del Duomo, furono le modifiche apportate a partire dal 1703, sotto la direzione dell’architetto romano

Deambulatorio

Carlo Buratti che ideò l’attuale facciata barocca, e da Luigi Vanvitelli che realizzò l’altare maggiore.
Ricchissimo il panorama artistico della Chiesa.
Lungo la navata destra, spiccano due bellissimi dipinti, la cinquecentesca Adorazione dei Magi del pittore fiammingo Comelis Smet e La Vergine porge il Gonfalone del Santo Sepolcro di Francesco Solimena (1710);mentre a decoro del transetto e della IV cappella a sinistra, troviamo due interessanti tele di Paolo De Majo, il Martirio di San Sebastiano e 1’Andata al calvario.

Cupola Ottagonale

Bellissimi anche gli argenti della chiesa, tra cui i busti dei vari santi che formano la processione del 25 gennaio, giorno della conversione di San Paolo, patrono di Aversa; ed ancora le lapidi e le lastre marmoree del deambulatorio, esempi notevoli di arte normanna (bellissime le lastre del Cavaliere con drago e dell’Elefante e due leoni); il Monumento funebre del cardinale Innico Caracciolo, che si trova nella V cappella a sinistra; il bel crocifisso ligneo posto alle spalle dell’altare maggiore (XIII secolo), forse di artista catalano, di grande effetto drammatico.

A sinistra del transetto, si potrà poi ammirare il cosiddetto tempietto lauretano, leggiadra riproduzione su scala ridotta della Santa Casa di Loreto.

Ma ogni quadro riassuntivo non può che essere in questo caso estremamente riduttivo.

Campanile
Abside
Busto San Paolo

Il Seminario Vescovile

Il Seminario vescovile di Aversa, istituito nel 1566 in seguito alle prescrizioni del Concilio di Trento, deve la sua forma attuale alla ricostruzione operata nel 1725 per volontà dell’allora vescovo di Aversa, Innico Caracciolo, su progetto dell’arch. Carlo Buratti.

Scalone d’onore

Di notevole interesse architettonico, all’interno dell’edificio, il bellissimo chiostro settecentesco e lo Scalone d’onore.
Nel grande chiostro rettangolare, che sembra comporre la leggerezza e la grazia settecentesche con la linearità del neo-classico, il rigore semplice dei pilastri del primo ordine, si ravviva nel secondo ordine del più raffinato gioco prospettico degli archi strombati poggianti su di un mosso basamento; nello Scalone, di cui si ignora con precisione l’autore, mirabile appare l’originale soluzione tecnicostilistica dei balaustrini inclinati per dare all’insieme un più marcato senso di dinamismo.

Seminario

Il Seminario conserva un ricco patrimonio di opere d’arte, provenienti per lo più dalle varie chiese cittadine, tra le quali spicca il trecentesco Scalone d’onore Gruppo marmoreo “Madonna col bambino” (XIV sec.) gruppo marmoreo ‘Madonna col Bambino”, da taluni attribuito al grande scultore senese Tino da Camaino (1285-1338), e la tavola del “Martirio di San Sebastiano” (1468) di Angiolillo Arcuccio, la cui importanza va ben al di là dela valore artistico, pur notevole, del dipinto, per la possibilità che ci dà di ricostruire l’impianto rinascimentale della città, ritratta sullo sfondo alle spalle del santo.

Chiesa di San Domenico

Chiesa San Domenico

La magnifica facciata barocca, realizzata nel 1742, secondo alcune fonti, su progetto del noto architetto napoletano Filippo Raguzzini (passato alla storia per la teatrale sistemazione di piazza Sant’Ignazio in Roma), è quanto ci è dato oggi ammirare dell’antica chiesa di San Domenico, fondata da Carlo I d’Angiò nel 1278 e dedicata dallo stesso allo zio San Luigi IX re di Francia.

Completamente devastata da ripetuti furti, infatti, quasi nulla rimane delle opere che arricchivano il suo interno, al momento non visitabile.

La facciata concava, di gusto borrominiano, seppur segnata dal grave stato di abbandono, mantiene ancora un certo fascino per la ricca e fantasiosa decorazione formata da gruppi di colonne sporgenti, nicchie con statue (quella posta in cima è appunto di Luigi IX), sfarzosi fregi. Sembra che nell’occasione il Raguzzini utilizzasse, con qualche variazione, il progetto messo a punto per il concorso (1731) della facciata di San Giovanni in Laterano in Roma, assegnato poi all’architetto Alessandro Galilei.

Sedile di San Luigi

I1 medievale sedile o seggio di San Luigi

I sedili erano una sorte di consorteria di nobili, che nelle amministrazioni cittadine tutelavano i propri diritti.

Posti a ridosso di alcune importanti porte cittadine, avevano nei propri compiti con ogni probabilità anche quello della custodia delle stesse.
Ad Aversa se ne contavano quattro, dei quali l’unico sopravvissuto è quello di San Luigi, in piazza San Domenico, che fu concesso nel 1195 dall’imperatore Enrico VI alle famiglie dei cavalieri aversani come ringraziamento per l’appoggio ricevuto nella guerra contro i Normanni.

Svuotati a poco a poco di potere e di significato, i sedili dei nobili furono definitivamente aboliti nel 1799.

Chiesa di Santa Maria a Piazza

S. Maria a Piazza (XI secolo) è la chiesa più antica di Aversa.
Posta in corrispondenza della piazza del mercato pubblico, al di fuori della prima cerchia di mura cittadine, è precedente al l’arrivo dei Normanni.

A seguito di un disastroso terremoto, l’impianto romanico originale subì, a partire dalla metà del XIV secolo, una completa trasformazione secondo i canoni dell’architettura gotica.

A questa fase risale la costruzione della nuova facciata, sulla quale si aprono tre portali con arco ogivale, e l’aggiunta all’interno delle navate laterali che impostano su ampi pilastri in tufo.

La copertura, con le sue volte estradossate che costituiscono un unicum in Aversa, culminanti nella cupola ottagonale, rileva chiare influenze arabo-bizantine, forse mutuate dalle colonie di commercianti amalfitani che si erano stabilite nelle adiacenze della chiesa.

Recenti restauri hanno riportato alla luce affreschi appartenenti alla prima cerchia di artisti giotteschi.

Castello Aragonese

Il Castello Aragonese (1470), fatto costruire da Alfonso I, fu completamente modificato ad uso di caserma di cavalleria per volere di Carlo III di Borbone, nel 1750.

L’originaria struttura quattrocentesca venne così avvolta da una cortina muraria, cui furono aggiunti quattro corpi angolari, destinati ad ospitare le scale.

Ceduto al Ministero di Grazia e Giustizia, subì ulteriori trasformazioni per essere adibito, nel 1934, alla nuova funzione di Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

Attualmente ospita una prestigiosa Scuola per Agenti di Polizia Penitenziaria.

Monastero di San Biagio

ll monastero di San Biagio, la cui esistenza è attestata, dal codice omonimo conservato presso la Biblioteca Vaticana, a partire dal 1043, fu forse fondato da una principessa normanna (Riccarda o Aloara) ed affidato all’ordine benedettino.
Secondo la tradizione, fu utilizzato spesso come rifugio dalle donne normanne durante i lunghi periodi di assenza dei mariti impegnati nelle continue guerre.

Dell’assetto romanico originario non resta che il pronao, diviso in sei campate con volta a crociera, che immette nell’interno del Monastero e, quindi, della chiesa.

Quest’ultima, a navata unica, presenta sei cappelle laterali per lato, che contengono altari policromi e dipinti di grande interesse artistico, tra cui, nella I di destra, un’ Adorazione dei Magi, e nella I di sinistra, una Pentecoste, attribuite al pittore tardo – cinquecentesco Marco Pino da Siena; nella terza cappella, sempre di sinistra, la Sepoltura di Cristo con la Madonna e i Santi Biagio e Govanni Evangelista (XVI secolo), di autore ignoto.

Assai caratteristico il pavimento della navata e del presbiterio formato da maioliche dell’inizio del settecento, opera della bottega napoletana dei Giustiniani.

Sulla facciata esterna il primo e l’ultimo, dei tre portali di stile barocco, sono sormontati dai busti in stucco di San Benedetto e San Mauro, mentre quello centrale da un bassorilievo in motivi floreali.

Monastero di San Lorenzo

L’imponente monastero di San Lorenzo “ad Septimum”, la cui fondazione ad opera dei Longobardi è antecedente all’anno Mille, era posto sulla via consolare romana a sette miglia da Capua, come indicato dalla vicina pietra miliare dalla quale trasse la particolare denominazione. Con l’avvento dei Normanni, il piccolo cenobio benedettino cominciò ad ingrandirsi ed a crescere di importanza, sino a divenire una delle più importanti abbazie dell’Italia meridionale.

In virtù delle donazioni di cui sarà in seguito fatto oggetto, i suoi beni patrimoniali si estenderanno ben oltre la Contea: in Lucania, Calabria, Puglia. Soppresso nel 1807 dai Francesi, ospitò un educandato per le fanciulle della nobiltà fino al 1812, quindi varie istituzioni (scuola militare, orfanotrofio militare, istituto artistico meccanico, ecc.).

L’ex monastero, che aspetta ancora di essere restaurato nel suo complesso, è sede attuale della Facoltà di Architettura del secondo Ateneo di Napoli.

Nonostante le alterazioni morfologiche, dovute ai molti rifacimenti, ed il notevole degrado in cui versa larga parte della struttura, si possono ancora ammirare alcune preziose testimonianze architettoniche, quali: il chiostrino barocco,da cui è stato purtroppo asportato il pozzo in marmo, ed il chiostro grande rinascimentale, ascrivibile agli ultimi anni del ‘500.

Di forma rettangolare, il chiostro grande si sviluppa in due ordini di arcate a tutto sesto, la cui leggerezza risulta notevolmente accentuata dalla maggiore snellezza dell’ordine superiore.

Paragonabile per bellezza di forme a quello della Certosa di San Martino, l’opera è da attribuire sicuramente ad un artista esperto della grande lezione rinascimentale, cui la leggerezza e l’armonia delle forme rimandano.

Tra le testimonianze del periodo normanno rimane il superbo portale in marmo scolpito che adorna l’ingresso della chiesa eseguito, come risulta dall’iscrizione incisa sull’architrave, da un maestro Berardo, ai tempi dell’ abate Matteo, nel XII secolo.

Patria di uomini illustri

In tutti i rami dell’attività umana fu Aversa illustrata dai suoi figli.
Fu patria di illustri uomini: guerrieri, letterati, poeti, giureconsulti, medici, artisti.

Beomondo D’Antiochia s’ebbe sempre un ricco stuolo di crociati nell’anno 1090.
I normanni avevano uno spirito eminentemente avventuroso e non potevano restar sordi al grido di Pietro l’Eremita; e tutte le spedizioni fatte per la liberazione del Santo Sepolcro trovarono un largo seguito fra essi.

Uno dei tredici campioni, combattenti nella famosa sfida di Barletta – Ludovico Abenavolo – nacque in Aversa.

Alla battaglia di Lepanto eravi un Alessandro Merenda, di Aversa, comandante di quarto all’ordine di Doria, che per il suo valore, si ebbe l’ammirazione e la stima speciale del severo don Giovanni d’Austria, comandante supremo della flotta, che fiaccò la potenza dei Turchi.

Alla presa di Sebastopoli fu un aversano – Aniello Luigi Bianchi – che, primo fra tutti, salì sugli spalti della formidabile torre di Malackoff, piantando per il primo la bandiera anglo-italo-franca sul bastione Redan. Ebbe tra vescovi e cardinali un Guiscardo, un Colonna, un Caraffa, un Caracciolo Junnico, un Durini e un De Luca, chiari per dottrina e virtù d’opere benefiche; scrittore lodatissimo un canonico Onorato e teorico sommo un canonico De Fulgore, ed altri. Tra i suoi patri scrittori vanta un Giulio Cesare Mele e un Luca Prassiccio, menzionati dal Giustiniani e di cui avanzano pochi brani manoscritti nel Calefati; il poeta Paolo Pacello, che ci lasciò prose e poesie varie, inediti manoscritti nella Biblioteca Nazionale di Napoli; tra giureconsulti che ci lasciarono opere in stampa non sono da obliare il Di Mauro, il Grammatico, il Pelliccia, il Cirillo, il Longo; – un Prospero Cappella, poeta latino; – archeologo un Caterino e italiani poeti, il Mormile, il Capasso e il De Ferrariis; – storiografi e cronisti, il Guarino, il P. Costa e il Fabozzi, il Moschetti e ultimi il Salzano e il Parente che cittadine memorie ci lasciarono di Aversa; della Diocesi sono notevoli il Basile, il Giordano, il Mastrominico, il De Muro.

Tra medici e scienziati si annovera l’Artaldo, il Grimaldo, il Ciaforello, il Gargano – bruciato come eretico in piazza mercato ai 24 marzo 1564 – il Lucarozzi, un Domenico e Niccolò Cirillo, il Serao, il Braucci; questi ultimi più a noi vicini. Alle miti aure di questo cielo nacquero maestri di musica, celebratissimi, Nicolò Jommelli, Domenico Cimarosa, Durante.

Scrittori drammatici di grido furono un Della Valle-Ventignano e Genoino. Un Simonelli, uno Stanzione, un Graziano, un Sellitto, un Mercurio, furono artisti pittori di fama. In mezzo a tali nomi sarebbe colpa il tacere quello del venerando Raffaele Lucarelli, che per dottrina profonda, e per vari pregi di anima, si ritiene come una gloria di Aversa.

Fra tutti questi illustri uomini i più celebri furono il Cimarosa, il Jommelli, il Mario Pagano, il Cirillo ed il Parente.

Domenico Cimarosa (vedi scheda»)
nacque in Aversa ai 17 dicembre 1749, da un muratore a nome Gennaro e da una lavandaia a nome Anna Di Francesco. Deve la sua celebrità a sé stesso, alla sua forte volontà e al suo genio, soprattutto. Aveva pochi anni allorché gli morì il padre suo, vittima del lavoro.
Visse miseramente col solo lavoro della madre. In seguito ebbe la fortuna di imbattersi in un frate, il Padre Polcaro, che malgrado il Cimarosa vestisse cencioso, pure lesse nel suo sguardo il germe del genio. Lo condusse a casa sua e, sul cembalo, fece imparare al giovane Cimarosa i primi elementi musicali, fino a farlo ammettere come alunno nel Collegio di musica. Ecco le origini del celebre autore del “Matrimonio Segreto” scritto nel 1792. Il Cimarosa morì a Venezia al primo anno di questo secolo, cioè il dì 11 gennaio 1801.

E’ passato un secolo e la musica del Cimarosa è tuttora di buon gusto, malgrado i profondi cambiamenti dell’arte musicale. Il grande Napoleone chiedeva un giorno all’illustre Gretty il suo giudizio fra il Cimarosa e il Mozart, e questi rispose: “Sire, Cimarosa pone la statua sul palcoscenico ed il piedistallo nell’orchestra e viceversa il Mozart”. Queste parole compendiano il giudizio fra le due scuole: la italiana e la tedesca. Gian Giacomo Rousseau scriveva ad un amico: “Corri a Napoli a sentire i capi d’opera del Leo, del Durante, del Jommelli e del Pergolesi”. Ebbene fra questi quattro, due sono nati ad Aversa: il Durante e il Jommelli.

Il Niccolò Jommelli (vedi scheda»), come il Cimarosa, nacque da umili genitori – suo padre faceva il bottajo, ed il Jommelli venne anch’esso iniziato nell’arte paterna. Un giorno, dicesi, che il maestro di musica Durante restò sorpreso che il piccolo bottajo Jommelli battendo sui cerchi della botte, eseguiva, con un’esattezza meravigliosa, le battute di una messa da lui diretta in una chiesa d’Aversa. Da qui incominciò la fortuna del Jommelli.

Gaetano Andreozzi (vedi scheda ») , detto “Jommellino” perché per parte di madre era nipote del grande Niccolò, nacque ad Aversa il 22 maggio 1763. Giovanissimo fu ammesso al Conservatorio della Pietà dei Turchini ove iniziò gli studi di canto, armonia e contrappunto sotto la direzione di valenti maestri. Apprese poi la composizione dallo zio Niccolò Jommelli. Le sue prime composizioni giovanili furono delle cantate per una sola voce e dei duetti per due soprani col solo basso. A sedici anni uscì dal Conservatorio e si recò a Roma dove compose, per il teatro Argentina, la sua prima opera seria in due atti, La morte di Cesare, che ebbe molto successo. Il Durante lo prese a proteggere e, più tardi, lo fece ammettere al Real Conservatorio di Musica.

Possiamo annoverare tra i musicisti aversani (di origini)Leonard Joseph Tristano, detto Lennie pianista e compositore jazz, caposcuola dello stile “cool” e pioniere dello stile “free”, nasce a Chicago il 19 marzo del 1919, secondogenito di una umile famiglia di emigranti italiani originaria di Aversa.
Ancora in fasce viene colpito dall’influenza “spagnola” che sarà poi causa di una crescita lentissima e di una progressiva perdita della vista che, all’età di nove anni, si trasformerà in completa cecità. Per tal motivo, nel 1929, il piccolo Lennie è costretto a lasciare la scuola pubblica di Chicago e ad iscriversi ad un istituto per ciechi che si trova in una altra cittadina dell’Illinois. Qui rimane per diversi anni e, nonostante la lontananza dalla famiglia e la dura disciplina del collegio, riesce a farsi notare per le sue notevoli inclinazioni per la matematica e, soprattutto, per la musica (in realtà, fin dalla più tenera età, suonava il piano “ad orecchio”).

Domenico Cirillo, Mario Pagano e Domenico Perla sono nati in terra aversana. Il Cirillo ed il Perla furono medici celebri, il Pagano fu giureconsulto e filosofo di alto valore. Tutti e tre furono decapitati in Napoli nell’anno 1799 dalla feroce e sanguinaria reazione borbonica.

Gaetano Parente, nato ad Aversa il 17 gennaio 1807, da antica e patrizia famiglia, fu un letterato chiarissimo di una modestia proverbiale. Latinista distinto, passò gran parte della sua vita alla ricerca dei documenti, dai quali poter ricostruire la storia di questa città, che doveva rappresentare lo sfondo di un quadro sul quale si svolgeva la storia del reame. Molti volumi egli pubblicò, in proposito, ma importantissimi i due volumi sulla storia ecclesiastica della città di Aversa.

Le fiere

La tradizione fieristica del nostro territorio ha radici secolari.
Più di cinque secoli fa il re Alfonso I, detto il Magnanimo, concesse alla città il privilegio di allestire una fiera denominata “Fiera dell’Annunziata”.
Ma si hanno notizie di altri appuntamenti del genere organizzati nel corso degli anni nella nostra città.
In primis la “Fiera di S. Domenico” e poi la “Fiera dei S.S. Apostoli”, anch’esse accordate da vari Re e sempre nel corso del Quattrocento.
I prodotti più commerciati in queste fiere erano la carne di vitello e la vaccina.
Ma non mancavano certamente il vino, i taralli e i susamelli, oltre alle stoffe, prodotto richiestissimo alle fiere di Aversa.
Nell’attuale via Roma due lapidi ricordano queste fiere, esattamente tra la parrocchia di S. Spirito e la chiesa dell’Annunziata.
A questi veri e propri mercati accedevano le popolazioni di tutto l’Agro, data l’assoluta mancanza in ogni paese del circondario di esercizi commerciali di qualsiasi genere.
Un’altra significativa fiera si svolgeva (fino ad un secolo fa) nelle aperte campagne a sud della città.
Nei pressi dell’odierno e diruto Convento dei Cappuccini, costruito sulla chiesetta di S. Giuliana, della prima metà del Cinquecento, sotto il Pontificato di Paolo II, quando era Vescovo di Aversa Mons. Fabio Colonna: sul sagrato di questa istituzione, nel giorno di Pasqua, tra l’odore dei ceri, si teneva una grande e importante fiera che richiamava gente dalle zone vicine (si vendeva un po’ di tutto, principalmente animali).

Lo stesso mercato che ancora oggi si tiene ad Aversa, spostato pochi anni fa da piazza Marconi ai confini con Teverola, non è che la continuazione di un’altra tradizionale e famosa Fiera che la volubile regina Giovanna I d’Angiò concesse o meglio assegnò, nel lontano 1340, all’allora nascente Istituto AGP (Ave Gratia Plaena) dell’Annunziata e che si svolgeva, un tempo, nel Mercato Vecchio (dove attualmente si trova la grande piazza Vittorio Emanuele).

Inoltre la prima domenica di ogni mese si svolge, attualmente, la fiera dell’antiquariato che attira migliaia di persone dal paesi limitrofi nonchè da tutta la Campania.

Le antiche processioni

Era ed è costume dei Reverendissimi Canonici della Cattedrale attraverso il loro segretario, trascrivere i principali avvenimenti della Chiesa di Aversa per tramandarli ai posteri.

Tra questi avvenimenti figurava un tempo la processione annuale che si faceva in onore del Patrono della città, San Paolo, e del Compatrono, San Sebastiano.
Queste processioni avevano un loro cerimoniale rigido sia nella disposizione, sia nel percorso da seguire, il quale si ripeteva sempre identico dagli antichissimi tempi e ricalcava perfettamente l’antico circuito perimetrale della primitiva città. Il canonicola città in forza di una domanda fatta da essi al Capitolo e favorevolmente accolta con alcune condizioni nel maggio del 1739.

Dopo venivano i Seminaristi, di poi i due chierici della Cattedrale addetti al servizio del coro e uniti una moltitudine di musici con trombe, tromboni, timpani, oboé, viole, violini ed altri strumenti a corde.

La turba di musicanti era seguita dal Vicario Curato della Cattedrale, indi i Canonici, poi la statua del grande Apostolo, nostro primo patrono principale, in ultimo il Vescovo in abiti pontificali ed un popolo sterminato, fece in modo che dalla SS. Trinità la processione voltando a destra giungesse all’estremità del palazzo del Sig. Emanuele Pacifico marchese di Villa Ariosa, quindi giungeva per il monastero di Montevergine, oggi casa succursale del R. Manicomio e, percorrendo la strada di S. Bartolomeo essendo giunta al punto poco lontano dall’arco della porta Antica del Mercato vecchio, si avviava verso la sinistra e rasentando le case che ora appartengono ai Signori Russo, Golia ed Angelillo, s’introduceva nella chiesa delle dette claustrali.
I Cassinesi non vollero entrarvi. Dopo pochi minuti la processione avvicinandosi al muro dell’orto dei bagni, entrava nel vicolo che ha dirimpetto la casa dei Signori Sforzi, poi voltando per la sinistra, dopo aver percorso la strada del Seggio, ove si trova la chiesa di S. Antonio, faceva ritorno alla Cattedrale. In merito alla processione di S. Paolo vi fu ancora un altro cambiamento.

Nel 1776 anche le Suore di S. Biagio rivolsero l’appello al vescovo perchè la processione passasse per il loro monastero. Il Vescovo le accontentò così la processione arrivata al largo, che si trova davanti alla Caserma della Cavalleria, tirò diritto sino al trivio, per il quale si va alla chiesa del Carmine, ove voltò sulla sinistra per il palazzo dei Signori Carotenuto, e, giunta all’estremità del palazzo dei Signori Rosano, voltò sulla destra per entrare nella chiesa di S. Biagio.

Da questa chiesa la processione si diresse per la strada che va diritto a quella di Monserrato. Di lì, per il quadrivio di S. Giovanni, passò innanzi alla chiesa della Madonna delle Grazie, ed essendo arrivata all’angolo della casa attigua ad essa, voltò sulla destra per la Scalella e seguitò a camminare per le medesime strade che furono percorse nel 1775. Questo percorso non subì più altro cambiamento fino al 1819. In questo anno Mons. Tommasi dispose che la processione di S. Paolo facesse il cammino rimasto in vigore per oltre un secolo.


La Festa della Madonna di Casaluce

E’ una festa un pò fuori dagli schemi, tra le tante che caratterizzano i paesi di Terra di Lavoro, quella che si svolge ad Aversa in onore della Madonna SS. di Casaluce. La festa prende il nome dalla Madonna che si onora per otto mesi all’anno in un piccolo comune rurale non lontano da Aversa, Casaluce, e per i restanti quattro mesi ad Aversa.
L’effige della madre di Dio, che secondo la tradizione è opera del pennello di San Luca, pervenne da Gerusalemme a Carlo I d’Angiò nel 1277 e fu da questi collocata, insieme con due idrie (nelle quali Gesù avrebbe operato alle nozze di Cana il miracolo della conversione dell’acqua in vino), nel castello angioino di Aversa, situato fuori le mura della città, nel borgo detto del Mercato vecchio, ove si trova l’attuale chiesa di San Pietro a Maiella.
Sistemata in seguito nel castello di Casaluce, mutato in sacro chiostro da Ramondello del Balzo, la sacra immagine fu da questi donata ai monaci celestini insieme col castello.
Così la Madonna fu detta “di Casaluce” e sotto questo titolo viene onorata da oltre sei secoli.

Chiesa Madonna di Casaluce

Poichè i padri celestini annualmente, nei mesi estivi, per evitare il pericolo della malaria, tornavano all’antica sede di Aversa portando seco la sacra effigie, derivò da questo il transito annuale della “Madonna di Casaluce” ad Aversa.

Da qui accesissimi contrasti, che spesso degeneravano nella violenza, tra gli abitanti dei due centri, finchè Ferdinando II di Borbone, con un decreto del 23 marzo 1857,stabilì quale dovesse essere il tempo della dimora della sacra immagine nei rispettivi comuni.
I contrasti sono oggi cessati, ma non è cessata la spettacolare simbolica resistenza, che si manifesta col sospingere avanti e indietro la statua sulla linea di confine dei due paesi, con una tenacia che è soprattutto frutto di ataviche consuetudini popolari.
La processione si svolge per più sere consecutive per appagare i desideri degli abitanti di ogni rione, che preparano alla Vergine il tosello, il palco su cui viene appoggiata la statua, adornano le strade con splendide luminarie e condiscono il tutto con i rituali fuochi d’artificio e tanta musica, che nell’attesa dell’arrivo della Madonna è di carattere profano. Per le strade sciama la folla dei fedeli; da ogni lato si levano le voci dei piccoli rivenditori di souvenirs, giocattoli, palloni colorati, dolciumi, soprattutto torrone, confezionato in mastodontiche forme.


La Madonna dell’Arco, un culto antico

Aversa, con i suoi 36 circoli della Madonna dell’Arco, è uno dei centri maggiormente legati al rito devozionale della Madonna dell’Arco.
E’ questo un culto antico, che nel contesto di un mondo dove il malessere dilaga, dove la gente cerca se stessa senza ritrovarsi, appare come un vero fenomeno psico-terapeutico concernente tutta una popolazione che ha saputo rimanere legata alle sue radici.
Ed un fatto è sicuro: questa festa non rientra assolutamente in quella categoria di feste folcloristiche senz’ anima e prive di quella dimensione “sacra”, ormai scomparsa dalla nostra società razionale.
L’organizzazione della festa è affidata alle Associazioni, che disseminate per il territorio su base rionale -in uno stesso quartiere ve ne possono essere diverse-hanno il compito di realizzare ogni anno il complesso rituale legato al culto della Madonna dell’Arco.

Queste Associazioni svolgono il compito di raccogliere le offerte necessarie al finanziamento dell’apparato rituale, predisposto per il giorno di Lunedì in Albis.
La questua parte solitamente la prima domenica dell’Epifania e prosegue fino alla domenica di Pasqua.

Il denaro raccolto provvederà non soltanto al pellegrinaggio del Lunedì in Albis verso il Santuario della Madonna, posto a Pomigliano d’Arco, ma anche e soprattutto alle toccanti celebrazioni che si svolgeranno in città la mattina di quello stesso giorno.
Proviamo a seguire un gruppo di fujenti o battenti (così vengono chiamati i devoti della Madonna dell’Arco) per le strade della città, in un piovoso giorno di Pasqua.
E’ questo l’ultimo giorno utile per rimpolpare la questua.
Piedi scalzi, pioggia scrosciante; il sudore si mescola all’acqua sulle fronti dei portatori di toselli; intorno si invocano offerte per la Madonna.
Dalle finestre qualcuno si affaccia per lanciare in strada un obolo.
Il piccolo gruppo si ferma di fronte ad una delle tante edicole votive sparse lungo il percorso, dando inizio ad un rituale che ci riporta ad epoche arcaiche.
La musica è una strana mescolanza dei generi più diversi.
Si formano gli schieramenti: uomini, donne, bambini, stretti sottobraccio avanzano ed indietreggiano di fronte all’immagine sacra ed alla fine si gettano a terra, nella fanghiglia, la faccia sull’asfalto.
Un portabandiera regge in equilibrio un altissimo gonfalone e mentre danza al ritmo di una musica lenta e sincopata come una struggente nenia orientale, lo trattiene coi denti per moderarne il ritmo.
Il giorno successivo,Lunedì in albis, queste esibizioni si trasformano in vere e proprie gare che si svolgono in vari punti della città.
Per tutta la mattinata, i gruppi (squadre) si spostano da un quartiere all’altro recando omaggio alle edicole presenti con le loro caratteristiche funzioni, quindi sfilano al cospetto della varie giurie insediate per l’occasione, portando in spalla enormi quadri raffiguranti soggetti biblici o i cosiddetti toselli (costruzioni originali, con al centro un quadro della Madonna dell’Arco).
Avanzando con mistica lentezza e facendoli ballare al ritmo della musica, essi cercano di meritare uno dei tanti premi in palio e soprattutto gli applausi del folto pubblico presente. Infine, nel pomeriggio, la partenza per il Santuario.

L’ Annunziata

L’immagine di Porta Napoli, celeberrimo logo illustrativo, è un pò il simbolo della città, nel bene ed anche nel male: gli aversani infatti, nei frequenti scambi di frasi colorite tra un Comune e l’altro di terra di Lavoro, sono tradizionalmente accusati di essere degli opportunisti, di avere una doppia faccia.
L’origine di esso, pare sia da ricercarsi proprio nei due quadranti (facce) del grande orologio posto sul possente Arco dell’Annunziata (1777).
Quest’ultimo servì a collegare la Real Casa Santa dell’Annunziata (istituto di beneficenza sorto agli inizi del 1300 per assistere gli infermi e gli orfani e preparare le giovani al matrimonio) con la nuova torre campanaria realizzata nel 1712 in sostituzione di quell’antica, quattrocentesca, che affiancava lateralmente il portale d’ingresso della Real Casa ed era ormai estremamente fatiscente.
Porta Napoli segnò il rinnovato limite meridionale della città, conseguente alla nascita del quartiere Lemitone, promosso dalla stessa pia Istituzione.

Non si conosce l’epoca della fondazione del complesso, l’esistenza della chiesa della SS. Annunziata è però, attestata già nel 1320, in un documento della SS. Annunziata di Sulmona.
Il 23 novembre 1423 la Regina Giovanna II donò alla Casa Santa i beni appartenenti all’ospedale di S. Eligio, con diritto di patronato regio.
La regolare esistenza dell’istituto è documentata dalla serie di Governatori, eletti fin dal 1410 per amministrare la Real Casa Santa, il cui compito era quello di nutrire gli orfani, curare gli infermi ed educare le giovani al maritaggio.
La struttura si articola in più corpi edilizi, eretti in diverse epoche e destinati a specifici utilizzi.

L’ingresso principale è decorato con un arco a tutto sesto, risalente al 1518 e di incerta attribuzione, commissionata, probabilmente dalla famiglia Mormile, come si evince dall’iscrizione posta sulla trabeazione.
L’arco è delimitato da due lesene binate poggianti su alti basamenti in piperno, che incorniciano due bassorilievi raffiguranti, sulla destra la Resurrezione e sulla sinistra la Creazione del mondo.
Tutta la struttura dell’arco, in marmo, è arricchita da rilievi raffiguranti personaggi e scene allegoriche di incerta interpretazione riconducibile probabilmente a Rainulfo Drengot, fondatore della contea normanna.
Le lesioni visibili sulle lastre marmoree sono riconducibili al disastroso crollo del campanile del 1667.

Lateralmente all’edificio della Real Casa si erge l’imponente campanile, edificato nel 1477 e crollato rovinosamente, come s’è detto, nel 1667 a causa di una “leggendaria” saetta, ricordata nei documenti dell’epoca. Nel 1712 sotto la direzione di Giuseppe Locchese iniziò la ricostruzione dell’attuale campanile, a pianta quadrangolare, con massiccio basamento in piperno bugnato e due ordini superiori con lesene doriche e ioniche. Nel 1776 Giacomo Gentile completò la struttutra con la costruzione dell’arco sormontato dall’orologio, realizzati con lo stesso materiale e stile della torre campanaria, che venne così, collegata all’ingresso dell’Annunziata. Il campanile con l’arco e l’orologio, noto come Porta Napoli, è il monumento con cui si identifica solitamente la città di Aversa (foto a lato).

Oltrepassato il cinquecentesco arco marmoreo si può osservare sul lato destro dell’androne lo scalone del XVII secolo che porta al piano superiore dell’antico ospedale.
Oltrepassato l’atrio, si giunge in un primo cortile, alla cui sinistra si sviluppa una doppia rampa di scale, ornata da bassorilievi marmorei del XVI-XVII secolo, che culmina in un balconcino semi-ellittico, attraverso il quale si accedeva all’antica Cancelleria.
Sul lato destro si apre l’ingresso ottocentesco al chiostro sul quale si affaccia la cosiddetta Sala delle colonne.

In fondo al cortile vi è la chiesa della SS. Annunziata preceduta da un ampio pronao costituito da 4 colonne di marmo cipollino con capitello corinzio provenienti da Atella, facenti già parte del Sedile di S. Luigi, che sorreggono archi a tutto sesto formanti tre campate coperte da volte a crociera riccamente decorate con motivi floreali e puttini in stucco realizzati da Pietro Scarola nel 1698.

La chiesa fu eretta tra il XIV e il XV secolo originariamente priva di cappelle laterali,le quali furono costruite tra il 1612 e il 1621 sotto la direzione di Fra’ Giuseppe Nuvolo.

Nel 1619 lo stesso architetto diede inizio, sul lato destro della navata, alla costruzione della Sacrestia, decorata con stipi lignei.

Nel 1674 una grande volta a botte sostituì l’originaria soffittatura in legno; mentre nel 1681 si cominciò la decorazione marmorea dell’interno, con la realizzazione del pavimento e dell’Altare Maggiore, in origine decorato da putti marmorei di Lorenzo Vaccaro. Agli inizi del XVIII secolo risale la costruzione della cupola, crollata nel 1823 e ricostruita in forma ridotta.

L’interno a croce latina, è ad unica navata vasta e maestosa, di forme classiche. Sulla controfacciata, ai lati dell’ingresso sono posti i sepocri marmorei di Aloise Zurlo, del 1546 (a sinistra) e di Giovanni di Martuccio del 1615 (a destra).
Sui primi pilastri vi sono due acquasantiere in marmi policromi di Gaetano Sacco del 1710-11.

Le cappelle sono ornate da dipinti del XVII-XVIII secolo tra cui si annoverano la tavola della Madonna delle Grazie e quella di S. Giovanni Evangelista entrambe di Angelillo Arcuccio (I cappella destra).

Nella VI cappella sinistra si trova un pregievole Crocifisso ligneo del XVI secolo.

Tra la navata ed il transetto sono posti due grandiosi e ricchi organi in legno dorato del 1687-88. Sulla parete del transetto destro è collocata la Deposizione di Cristo una tavola di Marco Pino da Siena del 1571; mentre su quella di sinistra si trovano l’Adorazione dei Pastori di Francesco Solimena del 1688 e la Strage degli Innocenti grande tela di Giuseppe Simonelli del XVIII secolo.

Al di sopra dell’altare maggiore si può ammirare la tavola dell’Annunciazione del XV secolo, attribuita a Ferrante Maglione.

Attualmente il complesso ospita la Facoltà di Ingegneria della Seconda Università di Napoli (SUN).

L’ O.P.G.

Ospedale Psichiatrico Giudiziario “Filippo Saporito” di Aversa

Correva l’anno 1876 quando nell’edificio dell’ex convento di San Francesco, ad Aversa, allora casa di pena per invalidi, il direttore generale delle carceri, Martino Beltrani Scalia, in assenza di disposizioni legislative creò la sezione per maniaci, inviandovi diciannove rei-folli affidati alle cure di Gaspare Virgilio, medico-chirurgo della casa penale dal 1867.

Sarà poi il Regolamento generale delle carceri emanato nel 1891, a seguito del Codice Penale Zanardelli del 1889, a prevedere espressamente la misura del manicomio giudiziario per “i condannati divenuti pazzi durante la espiazione della pena, ed agli imputati ed accusati dei quali l’Autorità giudiziaria competente ordina il ricovero forzato, temporaneo o definitivo”.

Virgilio, celebre alienista e fedele seguace delle teorie lombrosiane, già direttore del manicomio civile di Aversa “S. Maria Maddalena” dal 1863 al 1904, aveva qui iniziato i suoi studi sul parallelismo tra malati di mente comuni ed alienati delinquenti, studi resi possibili in quanto il manicomio civile da lui diretto era l’unico manicomio in tutto il Regno che accoglieva malati di mente, autori di reato.
Prima come medico chirurgo e poi come alienista, nel 1904 assunse la direzione del manicomio giudiziario lasciando quella del manicomio civile.
Virgilio approfondì i suoi studi sui rapporti tra delinquenza e follia, passando dall’iniziale identificazione tra pazzo e reo al concetto di “analogia” tra delinquenti e malati di mente.
Nel 1904 la sezione per maniaci fu ampliata e trasformata in direzione autonoma di manicomio giudiziario.
Nel 1907 Filippo Saporito successe a Virgilio nella direzione del manicomio giudiziario di Aversa.
Il problema della creazione di spazi detentivi ove contenere quei soggetti autori di reato riconosciuti incapaci di intendere e di volere, o dei rei già detenuti e impazziti in carcere, i cosiddetti rei-folli, era avvertito con grave disagio e drammatica urgenza da parte delle autorità.
Sia i manicomi civili, infatti, che le direzioni delle carceri, si rifiutavano di ospitare entrambe le categorie.

Sugli esempi di esperienze realizzate all’estero, dall’Inghilterra alla Francia alla Germania, dal Canada agli Stati Uniti, ad Aversa si sperimentò quindi questo primo esempio di asilo per maniaci, prototipo del manicomio giudiziario così fortemente auspicato dagli esponenti dell’antropologia criminale, primo fra tutti Cesare Lombroso.

Questo primo esperimento sarà imitato dopo qualche anno da analoghe strutture che sorgeranno a Montelupo Fiorentino (1886), a Reggio Emilia (1896), a Napoli (1923), a Barcellona Pozzo di Gotto (1925), a Castiglione delle Stiviere (1939) a seguito di una convenzione tra il ministero di Grazia e Giustizia e l’Amministrazione degli Istituti Ospedalieri), a Pozzuoli (1955).

Sono note le drammatiche vicende che alla fine degli anni Settanta portarono i manicomi giudiziari al centro di aspre polemiche e ferme richieste di chiusura di essi: prima la morte della ricoverata Antonia Bernardini, avvenuta nel 1975 nel manicomio giudiziario femminile di Pozzuoli, quindi le denunce di gravi illegalità verificatesi negli istituti di Aversa e di Napoli.
Domenico Ragozzino, direttore del manicomio giudiziario di Aversa, e Guglielmo Rosapepe, direttore a Napoli, furono entrambi accusati delle gravi violazioni.
Imputati e condannati in primo grado, furono quindi assolti in appello dalle accuse che erano state loro mosse.
L’assoluzione, comunque, non cancellò il ricordo dei drammatici fatti avvenuti in quei luoghi.
I due funzionari, travolti dagli scandali, posero fine alla loro vita con il suicidio.

Le critiche vecchie ed attuali rivolte ai manicomi giudiziari non possono comunque non far rilevare che gli antropologi criminali, gli psichiatri, i filantropi del secolo scorso e dell’inizio di questo secolo, e la ricca bibliografia esistente lo attesta, fossero sinceramente persuasi che la nascita dei manicomi criminali avrebbe realmente prodotto la panacea di tutti i mali riguardanti la prevenzione della criminalità e l’unica valida misura per attuare un’efficace difesa sociale.

Guida turistica edita dal comune

AVERSA GUIDA TURISTICA ILLUSTRATA

a cura dell’ufficio cultura Omaggio della sua città natale, il monumento al grande musicista Domenico Cimarosa, realizzato nel 1927 dallo scultore F.co Jerace, sorge in un breve spazio dedicato al verde pubblico a sinistra della graziosa facciata della stazione ferroviaria.


Coordinamento, testi e foto: Dott. Luigi D’ Alesio ( resp.le Ufficio cultura)

Progetto grafico, impaginazione: Teresa Morlando (Ufficio Cultura)

Comune di Aversa Tutti i diritti riservati

  • Sommario
  • Aversa nella Provincia Tradizione
  • La Musica
  • La Gastronomia
  • Informazioni pratiche dalla A alla Z AVERSA NELLA PROVINCIA.

Provincia: Caserta
Regione: Campania
Posizione: 21 Km. a sud-ovest del capoluogo; a 39 mt. s.m. nella pianura tra Caserta e Napoli
Superficie: Il territorio è di 8,73 Kmq
Popolazione: 5.854 abitanti
Prefisso Telefonico: 081
CAP.: 81031
Sistema elettorale: elezione diretta del Sindaco
Organi: Consiglio Comunale: 30 membri Giunta Comunale: 10 Assessori Patrono: San Paolo (25 gennaio) Stemma della Città: un gallo basilisco, con la punta delle ali e la coda a forma di serpente.

Perfetta sintesi culturale tra l’origine d’oltralpe dei Normanni fondatori di Aversa (il cui simbolo era appunto il gallo) e la tradizione osca locale che aveva eletto il basilisco, re dei serpenti, ad emblema dell’eternità.

La Storia Dal Casale ‘Sancti Pauli’ alla Contea Normanna di Aversa.

In principio era la Liburia, ampia pianura disposta tra il confine settentrionale del Ducato bizantino di Napoli e quello meridionale del principato longobardo di Capua segnato dal corso del Clanio (gli attuali Regi Lagni).

Di quella regione, fertilissima, cosparsa di ville e casali sorti in età longobarda, il normanno Rainulfo Drengot, discendente dai Signori Quarrel (antico sobborgo dell’attuale Alencon, nella Bassa-Normandia francese), ottenne in dono una ricchissima parte dal conte di Napoli Sergio IV per averlo aiutato a recuperare il ducato perduto nella lotta contro i Longobardi di Capua.

Alla guida di un gruppo di mercenari normanni, il conte Rainulfo Drengot scelse come luogo per edificare quella che sarebbe divenuta la prima contea dei Normanni in Italia, il casale denominato “Sancti Pauli at Averze” (per la presenza di una originaria chiesa dedicata al santo Apostolo), posto in felice posizione strategica, a dominio di importanti vie di comunicazione: da Capua a Pozzuoli (via Consolare Campana); da Capua a Napoli (via Atellana) e verso il mare (via Antiqua).

La felice posizione strategica del casale aveva indotto, forse già un secolo prima, i bizantini a munirlo di un castello a scopo difensivo contro le possibili mire espansionistiche del ducato longobardo di Capua.

E fu quel castello probabilmente la prima residenza del conte normanno, al cui fianco sorgerà di lì a qualche anno la nuova cattedrale di San Paolo.

Con la costruzione delle mura, venne così configurandosi il primo nucleo della Contea Normanna di Aversa, che diventerà il centro politico, culturale ed economico della progressiva conquista normanna dell’Italia meridionale.

Il possesso fu definitivamente sancito nel 1038, allorchè Rainulfo Drengot, ottenuta l’investitura imperiale da Corrado II, primo imperatore della casa detta dei Ghibellini, si riconobbe suo fedele vassallo.

La Battaglia di Civitate sul Fortore Nel 1053, Papa Leone IX al comando di un rilevante esercito si avviò alla volta della Puglia per combattere contro i Normanni, al fine di scacciare definitivamente da essa, e dall’Italia, quelli che giudicava dei prepotenti, barbari e crudeli avventurieri.

Nonostante che suo cugino, l’imperatore d’occidente Arrigo III, avesse ritirato la parte più cospicua delle truppe imperiali dalla coalizione anti-normanna, il battagliero Pontefice, con quelle poche che gli erano state concesse, con le sue proprie e con altre composte da Italiani, decise comunque di tener fede ai dichiarati propositi di vendetta.

Nella pianura di Civitate, attraversata dal fiume Fortore, in Puglia, mosse risolutamente contro il ben più esiguo esercito normanno, formato a sua volta da tre raggruppamenti, alla testa dei quali v’erano il conte Unfredo, suo fratello Roberto (detto il Guiscardo) e Riccardo, conte di Aversa.

E fu proprio la rapida e travolgente azione di costui (portatosi per primo valorosamente all’attacco) che costrinse il nemico alla fuga ed aprì la strada alla grande vittoria dei Normanni.

Il Papa rifugiatosi nella cittadella di Civitate, debolmente munita, fu costretto, per l’accerchiamento posto dai Normanni, ad arrendersi.

Fatto prigioniero, venne tuttavia trattato con ogni onore dagli stessi che arrivarono a prostrarsi in ginocchio davanti a lui chiedendo perdono.

Tale ossequioso comportamento, riferiscono le cronache del tempo, determinò il totale capovolgimento della politica papale verso i Normanni.

Il primo passo fu quello di togliere loro la scomunica e concedere, in quello stesso anno, la sede episcopale alla Contea di Aversa, dichiarandola esente e mettendola sotto la diretta protezione della Santa Sede.

La rappacificazione tra il Papato ed i Normanni, con la quale i secondi diverranno i più fedeli alleati della Chiesa nella lotta per la riforma “gregoriana”, fu sancita dal Concilio di Melfi dell’agosto 1059, mediante un patto ufficiale sottoscritto per la parte normanna dal conte Riccardo I di Aversa e Roberto il Guiscardo.

La rivolta contro Carlo I d’Angiò e la fondazione del complesso conventuale di San Francesco delle Monache.

Dopo la vittoria di Benevento contro lo svevo Manfredi, Carlo I d’Angiò marciava trionfalmente verso Napoli, appena eletta nuova capitale del regno, quando in prossimità di Aversa fu avvicinato da una delegazione di 18 cavalieri napoletani guidati dal nobile Francesco Loffredo, che gli consegnò le chiavi della capitale.

Ma, per una strana ironia della sorte, proprio nella città di Aversa, dove aveva ricevuto le chiavi ed il benvenuto dei sudditi, scoppiò dopo poco tempo una violenta agitazione anti-angioina capeggiata da un gruppo di nobili che, unitamente a consimili bande di cospiratori napoletani e capuani, tentava di favorire l’ascesa al trono di Corradino di Svevia.

Sedata la rivolta, la vendetta del novello re non si fece attendere.

I rivoltosi aversani vennero condannati al carcere e privati di tutti i loro beni, mentre il nobile feudatario Riccardo Rebursa, considerato il capo dei rivoltosi di Aversa, fu condannato a morte e, quindi, decapitato come il giovane Corradino.

Alla madre e alla moglie del Rebursa, Altrude e Margherita, fu concesso tuttavia di continuare a dimorare nell’edificio di Borgo Sant’Andrea, posto fuori le mura della città, che le due nobildonne, per la loro particolare devozione a San Francesco e Santa Chiara, si diedero a trasformare ben presto in un complesso conventuale, dapprima con la costruzione di una chiesa dedicata ai due Santi, quindi di un monastero per clarisse.

Il delitto di Andrea d’Ungheria.

Con l’ascesa al trono della regina Giovanna I(1343-1382), figlia di Roberto d’Angiò, la crisi del regno di Napoli si manifestò in tutta la sua drammatica evidenza.

Purtroppo, anche Aversa ebbe a subire le disastrose conseguenze della nefasta condotta di costei e della sua scellerata corte.

Infatti, fu proprio nel castello angioino di Aversa che maturò nel 1345 il delitto del principe consorte Andrea d’Ungheria, a cui Giovanna era andata in sposa appena diciassettenne.

La coppia regale, col suo seguito di dame e cavalieri, arrivata sul tardi nella residenza aversana (che sorgeva nel luogo adiacente la chiesa attualmente detta di Casaluce), dopo un lauto banchetto si ritirò nei rispettivi appartamenti.

A notte inoltrata, Andrea fu svegliato col pretesto di urgenti comunicazioni.

Pensò forse che fosse finalmente arrivata la tanto attesa bolla papale che autorizzava la sua incoronazione, ponendo così fine al mal sopportato ruolo di principe consorte senza poteri decisionali, come il testamento di re Roberto aveva sancito.

Ma purtroppo per lui si trattava solo di una tragica imboscata ordita, forse all’insaputa della stessa regina, da personaggi di corte per nulla disposti a tollerare ingerenze esterne nel governo del regno.

Appena entrato, infatti, nella sala adiacente, fu assalito dai congiurati in agguato, ucciso ed impiccato ai merli del loggiato, quindi gettato nel giardino sottostante.

Solo dopo tre giorni, un canonico della cattedrale, mosso a pietà, si prese cura delle sue spoglie.

Nel 1348, il re d’Ungheria, Luigi, fratello di Andrea, che aveva più volte annunciato propositi di vendetta, si portò in Aversa con un poderoso esercito.

Preso possesso della città, convocò i baroni e tutti coloro che stavano vicino alla corte con il pretesto di un grande banchetto di riconciliazione.

La regina, però, intuendo le reali intenzioni dell’astuto cognato, insieme al suo nuovo marito, preferì rifugiarsi in Provenza.

Concluso il banchetto, infatti, il re ungherese scatenò la sua devastante ira, compiendo orrenda strage di quanti riteneva responsabili dell’uccisione del fratello, mentre le truppe al suo seguito funestavano la città con rovinosi saccheggi e razzie.

Garibaldi ad Aversa.

Alla vigilia della più bella e decisiva battaglia del nostro Risorgimento, quella del I ottobre 1860, che verrà detta del Volturno, il grande generale Giuseppe Garibaldi, in cerca di finanziamenti che potessero servire a meglio equipaggiare il proprio esercito, si recò a S.Maria C.V. e ad Aversa.

In questa città si rivolse per un prestito alla famiglia dei baroni Ricciardi Serafini de Conciliis, proprietari di un bellissimo edificio (l’attuale Palazzo Golia) in via Seggio, promettendo la restituzione della somma da parte dello Stato Sabaudo ad un tasso centuplicato.

Il prestito gli fu accordato, ma non dalla nobile famiglia, che risultò inopinatamente al verde, ma da un commerciante suo inquilino, Giuseppe Motti, cui i nobili si erano rivolti.

In particolar modo, fu la intraprendente moglie di costui ad impegnare la dote paterna per la causa patriottica.

Garibaldi, dopo aver pernottato nella dimora dei de Conciliis, se ne ripartì, preparandosi ad affrontare quella che rimane l’impresa più bella della storica epopea del 1860.

L’esito della battaglia non era affatto scontato.

L’esercito garibaldino, al contrario di quello borbonico più numeroso e ben’armato, mancava di munizioni e vettovagliamenti.

Il I ottobre, con la eroica vittoria del Volturno da parte dei garibaldini sui borbonici, la guerra per la conquista delle Due Sicilie era virtualmente conclusa.

Al sopraggiunto esercito piemontese restava solo da terminare l’impresa, cosa che avvenne con la presa di Capua e Gaeta.

Lo Stato Sabaudo, tenendo fede alla parola data da Garibaldi, provvide a restituire i debiti contratti da costui al tasso promesso.

Per la famiglia Motti ciò significò un’insperata fortuna, che permise loro di acquistare il palazzo della servitù ed il proprio negozio dai nobili de Conciliis.

L’Arte Complessa dell‘Annunziata Porta Napoli L’immagine di Porta Napoli, celeberrimo logo illustrativo, è un pò il simbolo della città, nel bene ed anche nel male: gli aversani infatti, nei frequenti scambi di frasi colorite tra un Comune e l’altro di terra di Lavoro, sono tradizionalmente accusati di essere degli opportunisti, di avere una doppia faccia.

L’origine di esso, pare sia da ricercarsi proprio nei due quadranti (facce) del grande orologio posto sul possente Arco dell’Annunziata (1777).

Quest’ultimo servì a collegare la Real Casa Santa dell’Annunziata (istituto di beneficenza sorto agli inizi del 1300 per assistere gli infermi e gli orfani e preparare le giovani al matrimonio) con la nuova torre campanaria realizzata nel 1712 in sostituzione di quell’antica, quattrocentesca, che affiancava lateralmente il portale d’ingresso della Real Casa ed era ormai estremamente fatiscente.

Porta Napoli segnò il rinnovato limite meridionale della città, conseguente alla nascita del quartiere Lemitone, promosso dalla stessa pia Istituzione.

Arco d’ingresso della Real Casa Santa (XVI sec.).

Di notevole interesse artistico è anche il bell’arco marmoreo (opera di J.Mormile, 1518) della Real Casa Santa dell’Annunziata, contenente enigmatiche sculture di stampo medioevale che unitamente a quelle dei due basamenti laterali, formano con i loro oscuri significati allegorici un suggestivo contrasto con la struttura rinascimentale dell’arco.

All’interno, oltrepassato il cortile, un elegante pronao diviso in tre campate da quattro agili colonne corinzie, dà accesso alla chiesa della SS.Annunziata.

L’unica grande navata della chiesa è divisa in 12 profonde cappelle laterali decorate con interessanti sculture di epoca barocca, mentre il complesso pittorico è composto prevalentemente dalle 38 tele eseguite dai fratelli Giuseppe e Gennaro Simonelli tra il 1702 e il 1704.

Tra gli altri dipinti che lo completano, vi è la pregevole tavola del pittore Marco Pino da Siena (Deposizione di Cristo dalla croce, 1571) posta nel transetto destro della chiesa, quella di Francesco Solimena (Adorazione dei pastori, 1698) che si trova in quello di sinistra, ed infine la bellissima Annunciazione (1419) di Francesco Maglione, sulla parete di fondo del presbiterio.

Monastero di San Francesco.

Gli elementi romanici del complesso monastico di San Francesco delle Monache, fondato tra il 1230 ed il 1235, sopravvivono in parte del primitivo chiostro e nel campanile addossato alla bella cupola maiolicata.

La chiesa, tra le più belle della città, ristrutturata a partire dal 1645 in fastoso stile barocco, presenta una ricca e multiforme decorazione interna, una pianta a croce latina, ed una navata unica sulla quale si aprono tre cappelle per lato decorate, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, in marmi policromi di rara bellezza.

Di notevole interesse artistico anche il patrimonio pittorico della chiesa, con opere dalla firma prestigiosa: nell’abside, San Francesco in Gloria (1642), di Jusepe de Ribera (detto lo Spagnoletto); nel transetto, Santa Chiara mette in fuga i Saraceni e La Pentecoste di Francesco de Mura; sull’altare della II cappella a sinistra, l’ Adorazione dei pastori (1650 circa) di Pietro da Cortona, nella I sempre a sinistra un Cristo deposto di Paolo De Majo (della metà del XVIII secolo).

convento, segnaliamo i suggestivi affreschi di epoca medioevale, variamente datati, che decorano l’ala romanica del chiostro; ed il pregevole dipinto della “Madonna Lactans” (per il quale si è ipotizzata una possibile attribuzione al grande pittore duecentesco Guido da Siena), posto nel coro inferiore.

Palazzo Golia Cortile interno Il tipo edilizio del Palazzo Golia, che già fu dei baroni Ricciardi Serafino de Conciliis, alla via Seggio n° 72, è quello della tradizionale casa a corte, che in questo caso tuttavia emerge per l’equilibrio e l’eleganza delle proporzioni.

L’ampio cortile interno, sullo sfondo del quale campeggia una leggiadra statua raffigurante la Campania Felix, è sormontato dal bel giardino pensile che, con le sue piante secolari, prospetta frontalmente l’alto portale di accesso.

Al piano terra di questa bella dimora gentilizia erano un tempo ubicati i locali destinati alle attività agricole, alle scuderie ed alle altre attività di servizio.

Di notevole pregio architettonico lo scalone principale in pietra vesuviana che conduce al primo piano dell’abitazione che ospitò il generale Giuseppe Garibaldi alla vigilia dello storico scontro sul Volturno, il I Ottobre del 1860.

Chiesa e convento di Sant’Antonio Facciata della chiesa Interno.

La chiesa di Sant’Antonio, edificata nei primi anni del tredicesimo secolo ed offerta all’ordine dei Minori Conventuali fu dedicata, a partire dal 1232, a Sant’Antonio da Padova, e divenne col tempo parte di un importante complesso monastico.

Le originarie forme gotiche furono in seguito completamente cancellate da successivi interventi.

A partire dagli ultimi anni del ‘500, la chiesa venne ridotta alle attuali dimensioni ed assunse il definitivo aspetto prevalentemente rinascimentale e barocco.

1980, è oggi visibile nella facciata, nella zona presbiteriale (arco trionfale, nervature dell’antica volta) e nella bella trifora della parete absidale.

Interessanti affreschi e tele decorano l’interno ad unica navata e completamente imbiancato, al di sopra del quale spicca una leggiadra soffittatura lignea a lacunari.

Nell’attiguo convento, merita una visita il chiostro ed il bel campanile in tufo che si eleva in un angolo dello stesso.Duomo L’attuale facciata barocca, eretta agli inizi del settecento.

Nel cuore del borgo antico, sulla piccola, omonima piazzetta, si apre il maestoso Duomo di San Paolo, autentico ombelico di Aversa, la cui costruzione si deve al principe normanno Riccardo I, che ordinò l’inizio dei lavori nell’anno 1050, ed al figlio di costui, Giordano I, che li portò a termine nel 1090 circa.

Alla fine dell’XI secolo venne creato il bellissimo deambulatorio (del quale vi sono pochissimi altri esempi in Italia).

Posto in prosecuzione delle navate, il deambulatorio che gira intorno all’abside con tre cappelle a semicerchio divise in sette campate con volta a crociera, presenta evidenti analogie con opere Cupola ottagonale coeve della Francia centrale e meridionale.

Il Duomo ha subito varie devastazioni (per lo più a seguito di incendi e rovinosi eventi sismici) e numerosi restauri che nel corso dei secoli ne hanno mutato quasi integralmente l’assetto primitivo.

I terremoti del 1349 e del 1457 fecero crollare rispettivamente la cupola ed il campanile originari.

La prima fu sostituita dall’attuale cupola arabo-normanna, con due ordini sovrapposti di arcatelle cieche assai simili a quelle del duomo di Caserta Vecchia; il secondo, che l’affiancava lateralmente, fu ricostruito all’esterno e successivamente collegato alla facciata da un ponte realizzato nel 1733.

Determinante per l’attuale aspetto del Duomo, furono le modifiche apportate a partire dal 1703, sotto la direzione dell’architetto romano Carlo Buratti che ideò l’attuale facciata barocca, e da Luigi Vanvitelli che realizzò l’altare maggiore.

Ricchissimo il panorama artistico della Chiesa.

Lungo la navata destra, spiccano due bellissimi dipinti, la cinquecentesca Adorazione dei Magi del pittore fiammingo Comelis Smet e La Vergine porge Busto reliquario di San Paolo (XVIII sec.) il Gonfalone del Santo Sepolcro di Francesco Solimena (1710); mentre a decoro del transetto e della IV cappella a sinistra, troviamo due interessanti tele di Paolo De Majo, il Martirio di San Sebastiano e 1’Andata al calvario.

Bellissimi anche gli argenti della chiesa, tra cui i busti dei vari santi che formano la processione del 25 gennaio, giorno della conversione di San Paolo, patrono di Aversa; ed ancora le lapidi e le lastre marmoree del deambulatorio, esempi notevoli di arte normanna (bellissime le lastre del Cavaliere con drago e dell’ Elefante e due leoni); il Monumento funebre del cardinale Innico Caracciolo, che si trova nella V cappella a sinistra; il bel crocifisso ligneo posto alle spalle dell’altare maggiore (XIII secolo), forse di artista catalano, di grande effetto drammatico.

A sinistra del transetto, si potrà poi ammirare il cosiddetto tempietto lauretano, leggiadra riproduzione su scala ridotta della Santa Casa di Loreto.

Ma ogni quadro riassuntivo non può che essere in questo caso estremamente riduttivo.

Seminario Vescovile Chiostro Il Seminario vescovile di Aversa, istituito nel 1566 in seguito alle prescrizioni del Concilio di Trento, deve la sua forma attuale alla ricostruzione operata nel 1725 per volontà dell’allora vescovo di Aversa, Innico Caracciolo, su progetto dell’arch.

Carlo Buratti.

Di notevole interesse architettonico, all’interno dell’edificio, il bellissimo chiostro settecentesco e lo Scalone d’onore.

Nel grande chiostro rettangolare, che sembra comporre la leggerezza e la grazia settecentesche con la linearità del neo-classico, il rigore semplice dei pilastri del primo ordine, si ravviva nel secondo ordine del più raffinato gioco prospettico degli archi strombati poggianti su di un mosso basamento; nello Scalone, di cui si ignora con precisione l’autore, mirabile appare l’originale soluzione tecnicostilistica dei balaustrini inclinati per dare all’insieme un più marcato senso di dinamismo.

Il Seminario conserva un ricco patrimonio di opere d’arte, provenienti per lo più dalle varie chiese cittadine, tra le quali spicca il trecentesco Scalone d’onore Gruppo marmoreo “Madonna col bambino” (XIV sec.) gruppo marmoreo ‘Madonna col Bambino”, da taluni attribuito al grande scultore senese Tino da Camaino (1285-1338), e la tavola del “Martirio di San Sebastiano” (1468) di Angiolillo Arcuccio, la cui importanza va ben al di là dela valore artistico, pur notevole, del dipinto, per la possibilità che ci dà di ricostruire l’impianto rinascimentale della città, ritratta sullo sfondo alle spalle del santo.

Chiesa di San Domenico Il fascino un pò al vetriolo della sontuosa facciata.

La magnifica facciata barocca, realizzata nel 1742, secondo alcune fonti, su progetto del noto architetto napoletano Filippo Raguzzini (passato alla storia per la teatrale sistemazione di piazza Sant’Ignazio in Roma), è quanto ci è dato oggi ammirare dell’antica chiesa di San Domenico, fondata da Carlo I d’Angiò nel 1278 e dedicata dallo stesso allo zio San Luigi IX re di Francia.

Completamente devastata da ripetuti furti, infatti, quasi nulla rimane delle opere che arricchivano il suo interno, al momento non visitabile.

La facciata concava, di gusto borrominiano, seppur segnata dal grave stato di abbandono, mantiene ancora un certo fascino per la ricca e fantasiosa decorazione formata da gruppi di colonne sporgenti, nicchie con statue (quella posta in cima è appunto di Luigi IX), sfarzosi fregi.

Sembra che nell’occasione il Raguzzini utilizzasse, con qualche variazione, il progetto messo a punto per il concorso (1731) della facciata di San Giovanni in Laterano in Roma, assegnato poi all’architetto Alessandro Galilei.

Sedile di San Luigi I1 medievale sedile o seggio di San Luigi I sedili erano una sorte di consorteria di nobili, che nelle amministrazioni cittadine tutelavano i propri diritti.

Posti a ridosso di alcune importanti porte cittadine, avevano nei propri compiti con ogni probabilità anche quello della custodia delle stesse.

Ad Aversa se ne contavano quattro, dei quali l’unico sopravvissuto è quello di San Luigi, in piazza San Domenico, che fu concesso nel 1195 dall’imperatore Enrico VI alle famiglie dei cavalieri aversani come ringraziamento per l’appoggio ricevuto nella guerra contro i Normanni.

poco a poco di potere e di significato, i sedili dei nobili furono definitivamente aboliti nel 1799.

Chiesa di Santa Maria a Piazza S. Maria a Piazza (XI secolo) è la chiesa più antica di Aversa.

Posta in corrispondenza della piazza del mercato pubblico, al di fuori della prima cerchia di mura cittadine, è precedente al l’arrivo dei Normanni.La facciata a seguito di un disastroso terremoto, l’impianto romanico originale subì, a partire dalla metà del XIV secolo, una completa trasformazione secondo i canoni dell’architettura gotica.

A questa fase risale la costruzione della nuova facciata, sulla quale si aprono tre portali con arco ogivale, e l’aggiunta all’interno delle navate laterali che impostano su ampi pilastri in tufo.

La copertura, con le sue volte estradossate che costituiscono un unicum in Aversa, culminanti nella cupola ottagonale, rileva chiare influenze arabo-bizantine, forse mutuate dalle colonie di commercianti amalfitani che si erano stabilite nelle adiacenze della chiesa.

Recenti restauri hanno riportato alla luce affreschi appartenenti alla prima cerchia di artisti giotteschi.

Veduta laterale Castello Aragonese.

L’imponente facciata dell’ex castello aragonese, dopo il recente restauro.

Il Castello Aragonese (1470), fatto costruire da Alfonso I, fu completamente modificato ad uso di caserma di cavalleria per volere di Carlo III di Borbone, nel 1750.

L’originaria struttura quattrocentesca venne così avvolta da una cortina muraria, cui furono aggiunti quattro corpi angolari, destinati ad ospitare le scale.

Ceduto al Ministero di Grazia e Giustizia, subì ulteriori trasformazioni per essere adibito, nel 1934, alla nuova funzione di Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

Attualmente in fase di ristrutturazione, è destinato ad ospitare in un prossimo futuro una Scuola per Agenti di Polizia Penitenziaria.

Il monastero di San Biagio, la cui esistenza è attestata, dal codice omonimo conservato presso la Biblioteca Vaticana, a partire dal 1043, fu forse fondato da una principessa normanna (Riccarda o Aloara) ed affidato all’ordine benedettino.

Secondo la tradizione, fu utilizzato spesso come rifugio dalle donne normanne durante i lunghi periodi di assenza dei mariti impegnati nelle continue guerre.

Dell’assetto romanico originario non resta che il pronao, diviso in sei campate con volta a crociera, che immette nell’interno del Monastero e, quindi, della chiesa.

Quest’ultima, a navata unica, presenta sei cappelle laterali per lato, che contengono altari policromi e dipinti di grande interesse artistico, tra cui, nella I di destra, un’ Adorazione dei Magi, e nella I di sinistra, una Pentecoste, attribuite al pittore tardo-cinquecentesco Marco Pino da Siena; nella terza cappella, sempre di sinistra, la Sepoltura di Cristo con la Madonna e i Santi Biagio e Govanni Evangelista (XVI secolo), di autore ignoto.

Assai caratteristico il pavimento della navata e del presbiterio formato da maioliche dell’inizio del settecento, opera della bottega napoletana dei Giustiniani.

Sulla facciata esterna il primo e l’ultimo, dei tre portali di stile barocco, sono sormontati dai busti in stucco di San Benedetto e San Mauro, mentre quello centrale da un bassorilievo in motivi floreali.

Monastero di San Lorenzo Chiostro grande.

L’imponente monastero di San Lorenzo “ad Septimum”, la cui fondazione ad opera dei Longobardi è antecedente all’anno Mille, era posto sulla via consolare romana a sette miglia da Capua, come indicato dalla vicina pietra miliare dalla quale trasse la particolare denominazione.

Con l’avvento dei Normanni, il piccolo cenobio benedettino cominciò ad ingrandirsi ed a crescere di importanza, sino a divenire una delle più importanti abbazie dell’Italia meridionale.

In virtù delle donazioni di cui sarà in seguito fatto oggetto, i suoi beni patrimoniali si estenderanno ben oltre la Contea: in Lucania, Calabria, Puglia.

Soppresso nel 1807 dai Francesi, ospitò un educandato per le fanciulle della nobiltà fino al 1812, quindi varie istituzioni (scuola militare, orfanotrofio militare, istituto artistico meccanico, ecc.).

L’ex monastero, che aspetta ancora di essere restaurato nel suo complesso, è sede attuale della Facoltà di Architettura del secondo Ateneo di Napoli.

Nonostante le alterazioni morfologiche, dovute ai molti rifacimenti, ed il notevole degrado in cui versa larga parte della struttura, si possono ancora ammirare alcune preziose testimonianze architettoniche, quali: il chiostrino barocco, da cui è stato purtroppo asportato il pozzo in marmo, ed il chiostrogrande rinascimentale, ascrivibile agli ultimi anni del ‘500.

Di forma rettangolare, il chiostro grande si sviluppa in due ordini di arcate a tutto sesto, la cui leggerezza risulta notevolmente accentuata dalla maggiore snellezza dell’ordine superiore.

Paragonabile per bellezza di forme a quello della Certosa di San Martino, l’opera è da attribuire sicuramente ad un artista esperto della grande lezione rinascimentale, cui la leggerezza e l’armonia delle forme rimandano.

Tra le testimonianze del periodo normanno rimane il superbo portale in marmo scolpito che adorna l’ingresso della chiesa eseguito, come risulta dall’iscrizione incisa sull’architrave, da un maestro Berardo, ai tempi dell’ abate Matteo, nel XII secolo.

L’Impianto Urbano L’abitato di Aversa rivela nella sua struttura urbanistica due differenti fasi di svilippo: 1) il nucleo normanno di fondazione (XI secolo) a pianta radiocentrica, formato da strade anulari e radiali con al centro la cattedrale di San Paolo, ove con ogni probabilità si trovava il castello di Rainulfo Drengot, di cui non restano tracce; 2) la struttura ortogonale del quartiere Lemitone (XVII secolo) posto a sud est del nucleo primitivo.

Primo tracciato è ancora oggi riconoscibile nell’anello stradale composto da via S.

Domenico, via Sellitto, via Cirillo, via S. Nicola, via S. Marta, successivamente ampliato per comprendere anche i borghi di nuova formazione.

Questa seconda cerchia muraria, che si snodava lungo via S. Maria la Neve, via S. Francesco da Paola, via S.

Andrea, via Cimarosa, via Golia e via Drengot, continuò a rispettare la struttura radiocentrica dell’originario schema urbanistico, congiungendosi al centro politico e religioso della città, con tracciati stradali radiali.

A quei tempi la città contava sei rioni: S. Croce, S. Girolamo, S. Antonino, S. Andrea, S. Maria a Piazza e S. Nicola, che con il borgo fuori le mura di S. Lorenzo ed altri sette sobborghi, formavano come tanti piccoli universi cittadini.

Durante il periodo angioino, la politica di alleanza alla Chiesa portata avanti dai sovrani francesi, favorì il moltiplicarsi delle strutture conventuali degli ordini mendicanti, sancendo l’inizio di quella massiccia diffusione di strutture sacre che diverrà una delle principali peciliarità di Aversa.

Una suggestiva veduta di via Roma, arteria principale della città P.zza V. Emanuele III Porta S. Giovanni Villa Comunale.

Cassa Armonica Parco “Pozzi” P.zza Municipio con al centro il monumento ai caduti (opera dello scultore F.co Jerace, 1936) pliamento delle mura cittadine (1382) e l’apertura (1303) di una nuova importantissima arteria, la Via Nuova (le attuali via Saporito-via Roma), che, favorendo lo sviluppo verso sud, conferirà un nuovo aspetto alla città, avviando la dissoluzione dello schema radiale medioevale.Tra il XVI e il XVII secolo la realizzazione del quartiere Lemitone, secondo uno schema quadrilatero con strade che si incrociano ad angolo retto, tagliate da una diagonale (via Orabona), assestò il definitivo colpo di grazia al vecchio impianto urbano.

Il Lemitone, il cui perimetro è rappresentato da via Magenta, via Roma, via Belvedere e via Costantinopoli, ripete lo schema dei quartieri spagnoli di Napoli, fatti realizzare oltre mezzo secolo prima dal vicerè spagnolo don Pedro de Toledo.

Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, altre consistenti modifiche furono apportate alla struttura della città dall’apertura di nuove arterie stradali e dall’abbattimento di molti edifici conventuali e civili in abbandono.

Tra le più significative, la realizzazione di piazza Marconi (1928) e piazza Municipio (1937), che sorgeranno rispettivamente nell’area degli ex-conventi di S. Girolamo e S.

Francesco d’Assisi, ed il sistema vie (Mazzini-Diaz-Garibaldi) e piazze (Mazzini V.Emanuele Municipio) che collega la Stazione ferroviaria con piazza Municipio.

Festa della Madonna di Casaluce.

E’ una festa un pò fuori dagli schemi, tra le tante che caratterizzano i paesi di Terra di Lavoro, quella che si svolge ad Aversa in onore della Madonna SS. di Casaluce.

La festa prende il nome dalla Madonna che si onora per otto mesi all’anno in un piccolo comune rurale non lontano da Aversa, Casaluce, e per i restanti quattro mesi ad Aversa.

L’effige della madre di Dio, che secondo la tradizione è opera del pennello di San Luca, pervenne da Gerusalemme a Carlo I d’Angiò nel 1277 e fu da questi collocata, insieme con due idrie (nelle quali Gesù avrebbe operato alle nozze di Cana il miracolo della conversione dell’acqua in vino), nel castello angioino di Aversa, situato fuori le mura della città, nel borgo detto del Mercato vecchio, ove si trova l’attuale chiesa di San Pietro a Maiella (nella foto).

Sistemata in seguito nel castello di Casaluce, mutato in sacro chiostro da Ramondello del Balzo, la sacra immagine fu da questi donata ai monaci celestini insieme col castello.

Così la Madonna fu detta “di Casaluce” e sotto questo titolo viene onorata da oltre sei secoli.

Poichè i padri celestini annualmente, nei mesi estivi, per evitare il pericolo della malaria, tornavano all’antica sede di Aversa portando seco la sacra effigie, derivò da questo il transito annuale della “Madonna di Casaluce” ad Aversa.

Da qui accesissimi contrasti, che spesso degeneravano nella violenza, tra gli abitanti dei due centri, finchè Ferdinando II di Borbone, con un decreto del 23 marzo 1857, stabilì quale dovesse essere il tempo della dimora della sacra immagine neirispettivi comuni.

I contrasti sono oggi cessati, ma non è cessata la spettacolare simbolica resistenza, che si manifesta col sospingere avanti e indietro la statua sulla linea di confine dei due paesi, con una tenacia che è soprattutto frutto di ataviche consuetudini popolari.

La processione si svolge per più sere consecutive per appagare i desideri degli abitanti di ogni rione, che preparano alla Vergine il tosello, il palco su cui viene appoggiata la statua, adornano le strade con splendide luminarie e condiscono il tutto con i rituali fuochi d’artificio e tanta musica, che nell’attesa dell’arrivo della Madonna è di carattere profano.

Per le strade sciama la folla dei fedeli; da ogni lato si levano le voci dei piccoli rivenditori di souvenirs, giocattoli, palloni colorati, dolciumi, soprattutto torrone, confezionato in mastodontiche forme.

La Madonna dell’Arco, un culto antico Aversa, con i suoi 36 circoli della Madonna dell’Arco, è uno dei centri maggiormente legati al rito devozionale della Madonna dell’Arco.

E’ questo un culto antico, che nel contesto di un mondo dove il malessere dilaga, dove la gente cerca se stessa senza ritrovarsi, appare come un vero fenomeno psico-terapeutico concernente tutta una popolazione che ha saputo rimanere legata alle sue radici.

Ed un fatto è sicuro: questa festa non rientra assolutamente in quella categoria di feste folcloristiche senz’ anima e prive di quella dimensione “sacra”, ormai scomparsa dalla nostra società razionale.

L’organizzazione della festa è affidata alle Associazioni, che disseminate per il territorio su base rionale in uno stesso quartiere ve ne possono essere diverse hanno il compito di realizzare ogni anno il complesso rituale legato al culto della Madonna dell’Arco.

Queste Associazioni svolgono il compito di raccogliere le offerte necessarie al finanziamento dell’apparato rituale, predisposto per il giorno di Lunedì in Albis.

La questua parte solitamente la prima domenica dell’Epifania e prosegue fino alla domenica di Pasqua.

Il denaro raccolto provvederà non soltanto al pellegrinaggio del Lunedì in Albis verso il Santuario della Madonna, posto a Pomigliano d’Arco, ma anche e soprattutto alle toccanti celebrazioni che si svolgeranno in città la mattina di quello stesso giorno.

Proviamo a seguire un gruppo di fujenti o battenti (così vengono chiamati i devoti della Madonna dell’Arco) per le strade della città, in un piovoso giorno di Pasqua.

E’ questo l’ultimo giorno utile per rimpolpare la questua.

Piedi scalzi, pioggia scrosciante; il sudore si mescola all’acqua sulle fronti dei portatori di toselli; intorno si invocano offerte per la Madonna.

Dalle finestre qualcuno si affaccia per lanciare in strada un obolo.

Il piccolo gruppo si ferma di fronte ad una delle tante edicole votive sparse lungo il percorso, dando inizio ad un rituale che ci riporta ad epoche arcaiche.

La musica è una strana mescolanza dei generi più diversi.

Si formano gli schieramenti: uomini, donne, bambini, stretti sottobraccio avanzano ed indietreggiano di fronte all’immagine sacra ed alla fine si gettano a terra, nella fanghiglia, la faccia sull’asfalto.

Un portabandiera regge in equilibrio un altissimo gonfalone e mentre danza al ritmo di una musica lenta e sincopata come una struggente nenia orientale, lo trattiene coi denti per moderarne il ritmo.

Il giorno successivo, Lunedì in albis, queste esibizioni si trasformano in vere e proprie gare che si svolgono in vari punti della città.

Per tutta la mattinata, i gruppi (squadre) si spostano da un quartiere all’altro recando omaggio alle edicole presenti con le loro caratteristiche funzioni, quindi sfilano al cospetto della varie giurie insediate per l’occasione, portando in spalla enormi quadri raffiguranti soggetti biblici o i cosiddetti toselli (costruzioni originali, con al centro un quadro della Madonna dell’Arco).

Avanzando con mistica lentezza e facendoli ballare al ritmo della musica, essi cercano di meritare uno dei tanti premi in palio e soprattutto gli appalusi del folto pubblico presente.

Infine, nel pomeriggio, la partenza per il Santuario.

La Musica I grandi musicisti Niccolo’ Iommelli (1714-1774) e Domenico Cimarosa (1749-1801) sono sicuramente i due più celebri figli di Aversa.

Tra i massimi esponenti del settecento musicale napoletano, ricercati e venerati per la grandezza della loro arte dalle corti di tutta Europa, essi incisero con il loro straordinario genio la scena musicale del proprio tempo.

A loro si ispirò persino il grande Mozart che in una lettera al padre ebbe a dichiarare:« Se si vorrà d’ora in poi conoscere le vere aspirazioni della nostra musica, bisognerà rivolgersi ai napoletani.» Niccolò Jommelli dopo l’esordio come compositore, avvenuto nel 1737, la fama di Jommelli crebbe rapidamente ed Egli fu ricercato da tutte le principali città d’Italia.

Dopo aver raccolto successi a Roma con Ricimero re de’ Goti e Astianatte, e a Bologna con Ezio, venne chiamato a Venezia, dove tra l’altro, gli fu assegnata la direzione del teatro degli Incurabili.

Fu poi a Roma, a Vienna, e di nuovo a Roma dove assunse il posto di maestro coadiutore in San Pietro.

Ma la sua arte raggiunse la piena maturità a Stoccarda, dove risiedette dal 1753 al 1769 in qualità di maestro di cappella del duca Carlo Eugenio di Wurttemberg.

Nel 1769 rientrò in Italia e si stabilì a Napoli dove compose alcune opere che non La casa natale di Niccolò Jommelli, in via Costantinopoli ebbero buona accoglienza.

Il relativo insuccesso lo spinse a dedicarsi alla musica sacra, genere al quale diede fra l’altro, poco prima di morire, il famoso Miserere per due voci e orchestra, considerata la sua opera migliore.

Ad Aversa, la sua città natale, trascorse gli ultimi anni della sua vita, ritirandosi alla fine nel convento di Sant’Agostino alla Zecca a Napoli, ove morì il 25 agosto 1774.

Pietro Metastasio, i cui libretti furono musicati dal Nostro in più di trenta lavori teatrali, ebbe a dire di lui:«Egli è il miglior maestro che sappia adattar la musica alle parole, di quanti abbia mai conosciuto».

Domenico Cimarosa Del 1781 è il primo capolavoro di D.Cimarosa, Giannina e Bernardone, un’opera comica destinata a Venezia.

Da quel momento Egli fu in relazione con i maggiori centri italiani: Genova, Milano, Firenze, Torino.

Nel 1787 partì per San Pietroburgo, attratto dalla fortuna che il teatro italiano godeva presso Caterina II; poi fu a Vienna per comporre il Matrimonio Segreto, il suo capolavoro.

La musica vi si spande fluida, dal tono intimo della malinconia al brio colorito dei frizzi e delle ciarle, creando una vitale continuità drammatica che assicura a tutti i caratteri, anche ai più caricati, una persuasiva dimensione umana, grande serenità espressiva, delle partiture di Domenico Cimarosa, unanimamente riconosciuto maggior compositore di opere comiche del Settecento napoletano, a condurre la rappresentazione melodrammatica ai suoi massimi livelli.

Dopo il ritorno a Napoli, fu coinvolto negli eventi poltici del 1799 e subì quattro mesi di carcere durante la reazione di Ferdinando IV.

Liberato per intervento del card.

Ercole Consalvi, si recò a Venezia, nei cui pressi lo colse la morte, nel 1801, mentre si trovava nell’albergo “Tre stelle”, che ha conservato la camera intatta come allora.

Casa natale di D. Cimarosa, nella via omonima Gaetano Andreozzi Aversa diede i natali anche ad un altro compositore di grande rilievo, Gaetano Andreozzi, detto lo Jommellino (1755-1826), la cui fama è stata sempre un pò oscurata dalla grandezza dei due più celebri concittadini, Jommelli (di cui era nipote per parte di madre) e Cimarosa.

Fu allievo dello zio, e frequentò il Conservatorio di Santa Maria di Loreto a Napoli; nel 1786 sposò la cantante sua allieva Anna De Santi, che, fino alla separazione del 1799, ebbe come interprete delle sue opere ispirate alla tradizione napoletana.

Tra le sue composizioni più importanti: “Didone Abbandonata”, “Angelica e Medoro” e “Giovanna D’ Arco”.

La Gastronomia – La cucina aversana segue molto da vicino quella della ‘grande madre’ napoletana; per il resto si affida alla generosità dei suoi orti e alle ormai contenute ma pur sempre qualitative espressioni dell’arte della coltivazione dei suoi alti vitigni.

Particolarmente rinomato è il vino asprinio di Aversa: estremamente secco e asciutto, di perlage finissimo e persistente, è vino superbo e facile compagno di tutto il pranzo.

La storia di questo vino è alquanto…frizzante.

Si narra, infatti, che il sovrano Roberto d’Angiò, nel Trecento, abbia incaricato il proprio cantiniere, Louis Pierrefeu, di individuare il “cru” migliore per impiantare il vitigno Asprinio, portato dalla Francia per produrre spumante, altrimenti impossibile da avere a causa delle distanze che dividevano il Regno di Napoli dalla Regione dello Champagne.

Pierrefeu non tardò a rendersi conto che l’Agro Aversano aveva condizioni climatiche tali da consentirgli di produrre uno spumante “leggero e brioso quant’altri mai”, con il quale Aversa è noto non solo in Campania, ma viene apprezzato da grandi enologi e raffinati intenditori.

Citiamo a caso Veronelli e Mario Soldati, che hanno ampiamente lodato l’asprinio.

La Mozzarella di Aversa poi non ha certo bisogno di particolare pubblicità: solo qui si trova la vera, autentica, inimitabile mozzarella di bufala, la sua fragranza di latte fresco e di erba, frutto della secolare esperienza di maestri casari che ancora oggi lavorano il latte con tecniche antichissime; mozzano con le mani la pasta per avere il globo porcellanato, rannodano trecce o sminuzzano delicati bocconcini che saranno rinchiusi con la panna in anfore di terracotta.

E che dire della ricotta soffice e delicata come un velo di sposa? Un’altra particolarità nostrana sono i dolci.

Aversa ha sempre avuto una tradizione di grandi pasticceri.

Come non togliersi il cappello davanti a due opere d’arte che non si conoscono in nessun’altra parte del mondo: la Polacca e la Pietra di San Girolamo? La prima è la reinvenzione diventa una cosa sfogliosa, rinsecchita, untuosa.

La polacca, invece, è calda, solare, morbida e fragrante, con la sua pasta lievitata e la sua crema al limone e se trovate chi, secondo la tradizione, nella crema mette pure le amarene, allora il sublime vi sembrerà a portata di mano.

La seconda è una sorta di croccante fatto con mandorle, zucchero e cacao ed è il dolce che facevano appunto le suore del convento di San Girolamo.

Il Santo eremita, non potendosi rifiutare di dare il nome ad un dolce, pretese che avesse la consistenza e la forma della pietra sulla quale scriveva la Vulgata, per mitigare gli eccessi di gola dei consumatori.

Pagina visualizzata 6.944